Barbero e le donne: l’ennesima polemica inutile (e voluta)

Il Prof. Alessandro Barbero è ormai da diversi anni un apprezzato divulgatore, entrato nelle nostre case grazie a Quark e nelle simpatie degli italiani per un modo unico e particolare di raccontare la Storia. Il secondo passo l’hanno fatto i social e YouTube, dove intere lezioni hanno cominciato ad essere condivise in maniera virale.

Fin qui tutto bene, anche e soprattutto a livello mediatico, che presentava il Prof. come “fenomeno Barbero” e l’immancabile retorica della “cultura che può passare anche dai social“. Nelle pagine dei quotidiani, però, qualcosa ha cominciato a scricchiolare quando nelle redazioni hanno scoperto (come se non fosse deducibile dalle sue lezioni) che il Professore non ha solo una personalità culturale, ma anche una civica da cittadino che vota, ha votato e ha idee politiche molto ben definite senza il minimo timore di esternarle, così come per le giuste critiche da sollevare contro scelte governative inappropriate e il conformismo liberale che sta riscrivendo (come ha sempre fatto), in più parti, la Storia per fini politici.

Barbero è così divenuto non solo uno stimato Professore, ma uno stimato e acclamato simbolo di sinistra, più goliardico che politico c’è da dire, ma poco conta. Qualcuno che in un video spiega che la “la lotta di classe c’è stata e l’hanno vinta i ricchi… e non hanno preso prigionieri”, o che “l’elezione della Tatcher è stata una rovina che metteva fine ad un’epoca“, è comunque molto, molto pericoloso per un giovane che, tra il nulla cosmico di un video di CiccioGamer e Montemagno, potrebbe porsi qualche domanda e ricercare addirittura qualche risposta.

La reazione è stata quasi scontata; assistiamo da almeno un anno ad un attacco mediatizzato contro il Prof. Barbero mirato a “ridimensionare“, “delegittimare” non tanto il personaggio, ma i concetti che esprime, anche quando sensati, civici e professionali.

Il metodo è quello visto in mille altre occasioni: titoli sensazionali e fuorvianti, frasi decontestualizzate, stravolgimento del concetto espresso. I due più eclatanti, foibe e green pass, su cui il Professor Barbero si è limitato nel primo caso a fare il suo mestiere, lo storico, rivelando su base documentaria e analisi storica la natura distorta e mendace del mito delle foibe, nella seconda una legittima critica di classe allo strumento politico del green pass, su cui le varie anime della sinistra (dalla finta parlamentare alla radicale) non hanno avuto il coraggio di prendere posizione.

Il tranello teso da La Stampa della famiglia Elkann ha funzionato bene. Non per l’articolo in sé, su cui pochi si sono soffermati a leggere per intero e a comprenderne il contenuto, ma già dal titolo molto sensazionale che afferma Le donne secondo Barbero “Insicure e poco spavalde così hanno meno successo”, descrivendo come affermazione quello che Barbero, da storico, pone come domanda alla luce dei 50 anni e più di mutamenti sociali in occidente, con conseguente rimpallo su ogni testata, ognuna sempre più affermativa e sensazionale dell’altra.

Per chi conosce e ha seguito l’attività del Professore (a quanto pare molti meno di quelli che credevamo), nelle sue lezioni traspare in più occasioni la sua posizione tutt’altro che misogina e patriarcale. La critica al sistema attuale liberista, che ci vede continuamente in competizione con il nostro diretto prossimo, è tra i bersagli preferiti del Professore. L’aggressività, la spavalderia e la sicurezza di sé su cui pone la domanda (non l’affermazione), sono chiaramente esposte come una qualifica necessaria per questo tipo di sistema economico, che di certo non è positivo.

La frase, se per assurdo vogliamo vederla forzatamente in affermativo, si appropria addirittura di una connotazione lusinghiera per il genere femminile, meno dotate di tali strumenti negativi. Tra l’altro, l’intervista nasce per la presentazione di tre lezioni che Barbero dedica al “potere declinato al femminile” intitolato «Donne nella storia: il coraggio di rompere le regole».

Bastava prendersi la briga di leggere l’intervento per intero: «Premesso che io sono uno storico e quindi il mio compito è quello di indagare il passato e non presente o futuro, posso rispondere da cittadino che si interroga sul tema. Di fronte all’enorme cambiamento di costume degli ultimi cinquant’anni, viene da chiedersi come mai non si sia più avanti in questa direzione. Ci sono donne chirurgo, altre ingegnere e via citando, ma a livello generale, siamo lontani da un’effettiva parità in campo professionale. Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. E’ possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze fra i sessi. E c’è chi dice: “Se più donne facessero politica, la politica sarebbe migliore”. Ecco, secondo me, proprio per questa diversità fra i due generi». Aggiungendo: “Basterà allevare una generazione di uomini consapevoli e la situazione cambierà“.

Una piccola parentesi per comprendere che il tema pone legittime domande sul piano storico, senza nessun intento sminuente: molti dei diritti della donna che oggi sono negati, perduti o minacciati in occidente (parità salariale, aborto, divorzio, diritto allo studio, accesso alle cariche pubbliche e politiche) erano completa realtà già dal 1917 in Unione Sovietica e 1950 in Cina, in osservanza della visione socialista della società.

Qualche esempio: la sovietica Aleksandra Michajlovna Kollontaj è stata la prima ministra donna della storia; nel 1954 la Cina approva la parità di retribuzione per lo stesso lavoro tra uomini e donne su proposta di Shen Jilan, la deputata dell’Assemblea Nazionale del Popolo rimasta più a lungo in carica nella storia della Cina (in termini assoluti), eletta ben 13 volte. Nonostante la stessa possibilità di accesso alle cariche, statisticamente nei due paesi la tendenza femminile è stata quella di fare scelte differenti rispetto al potere politico.

Parlando in particolare della Cina, come ho avuto modo di scrivere in più occasioni, il “comando” della vita quotidiana è sensibilmente in mano alle donne, un’impressione palpabile che lascia abbastanza stupiti chi visita la Cina per la prima volta e non ne conosce storia e cultura. Eppure attualmente la percentuale femminile all’Assemblea Nazionale del Popolo è del 25%, quindi 1 donna ogni 4 deputati, nonostante l’accesso e le possibilità alle cariche è sostanzialmente lo stesso per uomini e donne da ormai 70 anni.

È veramente così scandaloso tentare di comprendere o porsi una domanda, né in positivo né in negativo, né di superiorità né d’inferiorità, sulle differenze biologiche anche nell’attitudine? L’esempio riportato su due paesi socialisti è per fare da contrappeso a quello sollevato da Barbero, relativo all’occidente liberista, e in cui riscontriamo tendenze simili.

Magari le risposte ci condurranno di nuovo sul piano sociale, patriarcale ed empirico del singolo (cosa a cui personalmente credo), confutando il tutto, ma da storico il porsi domande scomode è nel dovere dello studioso. Oppure i bagni misti in nome della cancellazione del genere biologico, baluardo della civiltà liberale americana, ha offuscato anche l’ultimo briciolo di raziocinio e ricerca anche da noi?

Con questa manovra si è cercata volutamente una reazione violenta del pubblico e non a caso lo strumento utilizzato è connesso ad una delle questioni tipiche del liberalismo/liberismo americano, in questo caso del femminismo liberale, che vede nelle storture della società capitalistica, come la competitività e l’aggressività, “un’occasione mancata per le donne” e non un concetto da abbattere e deleterio per la società a prescindere dal genere. In altre parole, non l’abolizione delle ingiustizie, ma l’accesso a tale strumento di potere anche per altre categorie.

Su questi temi e in particolare sui diritti civili, la sinistra occidentale è ormai accartocciata su se stessa e spostata definitivamente su posizioni liberali di destra, con il conseguente svuotamento delle componenti storiche e sociali che la caratterizzavano (sul tema femminismo, in occidente è ormai minoritaria la componente radicale e ispirata agli anni ’70, rispetto a quello liberale). Tra gli ambienti social che hanno maggiormente sbranato Barbero, ne troviamo molti che si considerano “progressisti e di sinistra”.

Insomma, chi più chi meno, siamo caduti nella trappola. I pochi elementi positivi che abbiamo e su cui dovremmo puntare, se non politicamente almeno culturalmente, li demoliamo in un istinto autodistruttivo indotto dagli stessi che facciamo finta di contrastare. Al contrario, teniamoci Paolo Mieli e la “e” rovesciata.


Articolo di Marcello Colasanti apparso sul portale “Il Giornale del Riccio” (vedi qui).