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Repressione al porto di Trieste: i portuali contro il green pass vittima della polizia di Draghi

Il violento sgombero del presidio dei lavoratori portuali di Trieste, nella mattinata di lunedì 18 ottobre, ha segnato una drammatica escalation nello scontro sul Green Pass in Italia, che vede contrapposto il governo, ottusamente inflessibile e con marcate velleità autoritarie, a una minoranza ormai irriducibile di cittadini ostili alle restrizioni.

Il green pass italiano: perché è assurdo

Dal 15 ottobre, il certificato covid è stato esteso in Italia a tutti i settori lavorativi, in aggiunta alle categorie per cui era già stato reso obbligatorio, come scuole e strutture sanitarie. Dal 15 ottobre ogni lavoratore italiano potrà lavorare solo se vaccinato, guarito da Covid-19 o sottoposto a test rapido.

La guarigione dalla malattia dona in media una difesa immunitaria più efficace e duratura di quella  da vaccinazione. Il problema è che ottenere la certificazione di avvenuta guarigione può essere parecchio complicato, ma soprattutto, uno non può decidere di ammalarsi (e se potesse non lo farebbe). Come se non bastasse, il green pass ottenuto in questo modo dura solo sei mesi, contro i dodici garantiti dalla vaccinazione, che pure in media fornisce una protezione più breve e meno efficace (vedi qui e qui).

I tamponi invece sono la foglia di fico, la falsa alternativa per poter dire che non sussiste un obbligo vaccinale. Innanzitutto, essi sono a pagamento, e anche piuttosto cari. Se un test costa in media 15 euro ed è valido 48 ore, un lavoratore deve farsene almeno tre a settimana. È ovvio che la spesa risulta assolutamente insostenibile per la maggior parte dei lavoratori italiani.

All’entrata di fabbriche e uffici, dal 15 ottobre in Italia occorre esibire il “green pass”.

Ci troviamo quindi di fronte a qualcosa di inaudito: una patente per lavorare. In Italia (e in buona parte del mondo) non esiste alcuna legge che costringa alla vaccinazione, quindi chi decide di non farla compie una scelta perfettamente legale. Eppure in tal caso si ritrova a dover pagare (e non poco) per poter esercitare il proprio diritto al lavoro. Si tratta dunque di uno dei più gravi attacchi alla classe lavoratrice degli ultimi anni, e ancora più meschino perché giustificato con la scusa dell’emergenza sanitaria. Se la tessera sanitaria per partecipare alla vita sociale era una novità già abbastanza problematica, la sua introduzione nel mondo del lavoro è assolutamente catastrofica.

La classe lavoratrice si è trovata divisa tra chi ha accettato, per convinzione o per costrizione, le raccomandazioni del governo, e chi, pur restando all’interno della legalità, non le ha accettate e si ritrova mutilato nei propri diritti. Se per qualcuno questo meccanismo può apparire giustificato in un contesto di emergenza sanitaria, basta trasferirlo a qualsiasi altra situazione per comprenderne la pericolosità.

Come se non bastasse, il proposito di creare ambienti sicuri attraverso il green pass non trova riscontri nei fatti reali. Nel solo mese di settembre sono 37 gli ospedali e le RSA (case per anziani) italiani in cui sono scoppiati focolai di infezione: tutte strutture in cui vige l’obbligo di green pass per entrare, e in cui tutto il personale è vaccinato. Nel mese di agosto invece, quasi 2000 medici e infermieri, tutti con doppia dose (chi non si è vaccinato è infatti stato sospeso), si sono contagiati. La spiegazione è molto semplice: la protezione contro l’infezione dei vaccini correntemente a disposizione cala drasticamente dopo pochi mesi. Molto prima dello scadere dei 12 mesi del green pass.

Se poi si considera che il certificato verde non è richiesto sul trasporto pubblico (metropolitana, treni regionali, autobus), usato da buona parte dei cittadini per recarsi sul luogo di lavoro, decade qualsiasi principio logico che stava dietro a questa misura. Trasporto pubblico che, detto per inciso, in molte situazioni ha dovuto ridurre il numero di corse, causando un affollamento ancora maggiore sui mezzi. Il motivo? Grazie al green pass, molti conducenti sono stati sospesi.

Trieste: la protesta e la repressione

L’introduzione del green pass per lavorare, il 15 ottobre, ha causato disagi in tutti i settori: è boom di certificati di malattia e richieste di congedo. Tuttavia alcuni settori sono stati colpiti più di altri, con oltre il 50% degli impiegati a rischio di assenza per colpa del certificato. Si tratta soprattutto dei porti e delle ditte di autotrasporti. Sono molti i lavoratori del settore che non hanno voluto vaccinarsi, ma si registra anche il problema dei lavoratori stranieri. Molti provengono dai paesi dell’Est, dove vengono somministrati sieri non riconosciuti dall’EMA (e quindi non validi per il pass). In Serbia ad esempio, oltre ad Astrazeneca e Pfizer, sono disponibili anche il russo Sputnik e il cinese Sinopharm, che l’EMA si ostina a non riconoscere. Ma della geopolitica dei vaccini si è già discusso abbastanza.

Venerdì 15 ottobre dunque sono iniziati scioperi negli scali commerciali di Ravenna, Ancona, Genova, ma sopratutto Trieste. In quest’ultimo, i lavoratori scioperanti si sono raccolti in presidio al varco 4 del porto, annunciando lo sciopero a oltranza fino all’abolizione totale del green pass.

I portuali triestini si sono mobilitati contro l’introduzione del green pass sui posti di lavoro.

Si è parlato di blocco, ma la realtà è ben diversa. Gli scioperanti hanno sempre permesso ai colleghi che volevano lavorare di recarsi ai propri posti. Nemmeno il traffico delle merci è stato ostacolato. Il porto è fermo semplicemente perché i lavoratori che non hanno aderito allo sciopero, circa il 10%, da soli non riescono a gestire l’afflusso di merci.

I danni economici dell’arresto delle operazioni di carico-scarico sono stratosferici, anche su brevi periodi, perciò all’annuncio dello sciopero si nota molta preoccupazione da parte delle autorità italiane, che mobilitano persino i sindacati fedeli (come la CGIL) per convincere i portuali a tornare al lavoro. Vengono anche proposti tamponi gratuiti (ma non per tutti), che i portuali triestini rifiutano in solidarietà di tutti gli altri lavoratori italiani che non godranno di questa concessione.

Lo sciopero e il presidio procedono in maniera assolutamente pacifica fino alla mattina del 18 ottobre, quando ingenti forze di polizia si presentano al varco 4. Al grido “in nome della legge, disperdetevi”, partono i getti d’acqua degli idranti a massima pressione, mentre la polizia alza gli scudi e inizia ad avanzare sui manifestanti. Molti restano fermi, alcuni si siedono per non essere spinti via, e poco dopo arrivano anche le prime manganellate. A questo punto dalla città migliaia di sostenitori giungono in supporto ai portuali, ma non c’è niente da fare, il varco viene sgomberato. Le forze dell’ordine seguono la folla nelle strade, sparando lacrimogeni. Alcuni finiscono in una scuola. “Ho visto un lacrimogeno in un passeggino”, dice Stefano Puzzer, il portavoce dei portuali.

Nonostante l’ostinazione, e anche qualche lancio di oggetto verso le forze dell’ordine, la resistenza è spezzata, e il presidio si trasferisce a Piazza dell’Unità d’Italia, in centro città.

I portuali sono stati sgomberati con idranti e lacrimogeni.

Ma è una vittoria di Pirro: lo sciopero continua e il Porto franco di Trieste resta fermo. Quello degli scioperanti infatti è un lavoro ad alto rischio, che richiede anni di esperienza. Sono professionisti difficilmente rimpiazzabili.

In giornata giungono anche i dettagli: l’operazione è stata diretta personalmente dal Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, mentre la Questura di Trieste si trova ad eseguire gli ordini piuttosto controvoglia. Ma se il porto è ancora fermo, e probabilmente lo sarà ancora a lungo, qual’era l’obbiettivo di questa prova di forza da parte del Ministero dell’Interno?

Ad ogni modo, cessati gli spruzzi e dissipato il fumo lacrimogeno, sono state tante in Italia le voci di protesta contro questo uso sproporzionato della forza, e l’evento ha ricevuto parecchia risonanza anche a livello internazionale. Sufficiente per convincere il governo ad ammorbidire leggermente la presa: sabato 23 ottobre a Trieste si è recato il ministro dell’agricoltura Patuanelli, per incontrare i rappresentanti dei portuali ed ascoltare le loro rivendicazioni. Il ministro si è impegnato a riferire le richieste al governo, e una risposta è attesa per mercoledì 27 ottobre. Ma gli scioperanti avvertono: se non saranno accolte, la protesta continuerà.

Fascismo: la minaccia fantasma

Sicuramente il Viminale si è sentito giustificato al pugno duro dopo gli eventi di sabato 9 ottobre, quando, durante la manifestazione No Green Pass, un gruppo di militanti del gruppo neofascista Forza Nuova si sono diretti alla sede del sindacato CGIL, devastandola. Subito i mass media, da mesi impegnati in una vasta campagna di criminalizzazione dei “novax”, hanno esaltato l’evento, associando l’intero movimento No Pass con l’estrema destra nostalgica. Si sono susseguite le condanne del governo, mentre politici e celebrità facevano a gara per esprimere solidarietà a Landini, segretario generale della CGIL.

La sede nazionale della CGIL è stata assaltata da un gruppo di militanti di Forza Nuova.

Ma come sono andate davvero le cose? Innanzitutto bisogna precisare che le manifestazioni contro il Green Pass, ricorrenti in tutte le principali città italiane il sabato pomeriggio, sono organizzate da gruppi differenti e molto eterogenei. Gli organizzatori della manifestazione di Roma, sabato 9 ottobre, non erano gli stessi della settimana precedente. Il fatto che Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova, sia intervenuto sul palco della manifestazione, non significa che Forza Nuova fosse rappresentativa di quella piazza, né tantomeno del movimento No Pass romano e nazionale. Anzi, la piazza ha espresso il suo malcontento quando il personaggio in questione ha preso la parola. Tuttavia i principali canali di informazione, che si sono posti l’obbiettivo di delegittimare ogni forma di dissenso al governo di Draghi, si sono prodigati a fare di tutta l’erba un fascio.

Chi vi scrive ha partecipato personalmente a diverse manifestazioni No Pass in Italia, nelle quali di fascisti non si vedeva neanche l’ombra. Ciò non ha impedito ai giornali di descriverle ugualmente come “manifestazioni di Forza Nuova”. Ma è ridicolo identificare il movimento No Pass con l’estrema destra, siccome esso è evidentemente trasversale nello spettro politico. Ne fa parte ad esempio anche il Partito Comunista diretto da Marco Rizzo.

La questione di gran lunga più importante è però un’altra. Forza Nuova aveva espresso l’intenzione di assaltare la CGIL già sui social, ribadendo il piano per bocca di Castellino sul palco della manifestazione. È impossibile che gli organi competenti non fossero al corrente del piano dei neofascisti. Eppure, quando Castellino e camerati si sono staccati dalla manifestazione, dirigendosi verso la sede del sindacato, si sono trovati di fronte solo sette agenti. Nello stesso momento, un forte dispiegamento di forze dell’ordine aggrediva a manganellate la manifestazione pacifica, che marciava in corteo in tutt’altro punto della città. Il ministro Lamorgese è stata costretta, in parlamento, ad ammettere che il Ministero era al corrente dei piani di Forza Nuova. Ma non è stata in grado di dare una risposta convincente sul perché quei piani non siano stati sventati.

Giuliano Castellino aveva illustrato il “piano d’assalto” già sul palco di Piazza del popolo.

Come dettaglio gustoso, abbiamo la storia di un agente della DIGOS (la polizia politica italiana), infiltrato in abiti borghesi tra i manifestanti. Egli fu filmato, in un primo momento, insieme a un gruppo di violenti che stavano spingendo un blindato della polizia, nel tentativo di ribaltarlo. Un secondo filmato lo ritrae mentre malmena un manifestante. Da subito nacque l’insistente sospetto che si trattasse di un provocatore, ma Luciana Lamorgese ha smentito. In Parlamento il ministro ha affermato che l’agente che spingeva il veicolo “stava verificando la «forza ondulatoria» scaricata sul mezzo”. Inutile dirlo, l’hashtag #forzaondulatoria è diventato immediatamente virale. Ma non finisce qui: il nostro tester della “forza ondulatoria” è stato visto anche tra le forze dell’ordine impegnate nello sgombero al porto di Trieste.

Quali conclusioni possiamo trarre? Che l’assalto alla CGIL fu volutamente permesso, e che agenti delle forze dell’ordine infiltrati nella folla fomentavano le violenze. Lo scopo? Bollare come fasciste le proteste antigovernative e anti-pass, di cui i fascisti sono in realtà una frangia puramente marginale. E che come sempre fa la parte degli utili idioti del potere. Inoltre l’origine stessa del gruppo “Forza Nuova” pare essere tutt’altro che spontanea, visti i comprovati legami del suo leader nazionale, Roberto Fiore (anch’egli presente al “pogrom” della CGIL), con i servizi segreti britannici (vedi qui).

Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista, per primo ha rievocato la strategia della tensione per descrivere questi eventi, concetto poi ripreso da altre voci. Ma governo e mass media hanno proseguito imperterriti sulla loro strada. Il sabato successivo la CGIL ha convocato a Roma una manifestazione antifascista, anacronistica e inutile quasi quanto lo stesso sindacato di Landini, mentre i principali quotidiani hanno riversato fiumi di inchiostro in un nuovo impeto di ardore antifascista, rivolto però verso i “novax”, come vengono definiti tutti gli oppositori della politica sanitaria del governo Draghi.

Un caso simile all’assalto della CGIL si era verificato con l’immenso rave party illegale di Viterbo, svoltosi ad agosto, guarda caso poco dopo l’entrata in vigore del Green Pass nei luoghi di svago. Quando il 13 agosto i festaioli iniziarono a raccogliersi sulle rive del lago di Mezzano, alla polizia locale giunse l’ordine da Roma di non ostacolare l’afflusso di gente, che in alcuni casi veniva persino scortata dalle pattuglie. Il party abusivo proseguì indisturbato fino al 19 agosto, con una grande esposizione mediatica da parte della stampa, intenta a costruire lo stereotipo del “cittadino irresponsabile”. A cosa serviva questa messinscena, permessa con il beneplacito del governo italiano? Forse a sbandierare ai quattro venti il presunto pericolo del “cittadino irresponsabile”, facendo così ingoiare a tutti la pillola amara del passaporto sanitario?

Difficile dire quale sia l’orizzonte di Mario Draghi e Ursula von der Leyen.

Dopo la sospetta negligenza a Viterbo e a Roma, il pugno di ferro a Trieste appare sempre di più come un avvertimento esemplare: nessuna opposizione alla politica sanitaria sarà tollerata. Il che fa sorgere il sospetto che i suoi reali obbiettivi siano tutto fuorché sanitari. Del resto perché Mario Draghi, il paladino dell’Austerity che usa i tagli alla sanità come jolly aggiustatutto, dovrebbe ad un tratto preoccuparsi della salute dei cittadini? Una cosa è certa: dopo i fatti di Trieste, le accuse di fascismo vanno rispedite al mittente.

Inoltre, come ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, “stiamo entrando nell’era delle pandemie”. Chi ci garantisce che a un certificato per il covid non subentri in futuro un certificato per qualche altro malanno? E che il lasciapassare non diventi uno strumento quotidiano al punto da includere un giorno anche criteri di carattere non prettamente medico-sanitario? Come nella teoria della finestra di Overton, siamo testimoni di come un’idea fino a qualche anno fa inconcepibile, e ancora di recente ritenuta radicale, diventi piano piano accettabile, secondo alcuni ragionevole, e in alcuni paesi come l’Italia persino legale.

Nil Malyguine

Nil Malyguine, classe 1997, è laureato in storia all'Università di Padova. Si occupa in particolare di storia della Russia e dell'Unione Sovietica. Dal 2020 milita nella Gioventù Comunista Svizzera.