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20 anni dopo Genova: dal movimento no-global al multipolarismo

Genova 2021. Vittorio Agnoletto ricorda, nel corso della conferenza stampa per la nuova edizione riveduta e ampliata de “L’eclissi della democrazia”, scritto con Lorenzo Guadagnucci, con emozione, con passione, con legittimo entusiasmo, il cammino che ha portato il “Movimento dei movimenti”, attraverso i social forum europei e mondiali, Porto Alegre, il risveglio dell’America Latina, l’incontro con il sindacalismo di base, i campesinos, i diritti della terra e dei coltivatori diretti, i sem terra brasiliani e mille altri colorati e variopinti gruppi, alla costruzione di una realtà plurale in cui tutte e tutti, insieme, anche le suore e i gruppi cattolici del volontariato e dell’assistenza a domicilio, si sono riversati a Genova nel canicolare luglio del 2001 per chiedere, sotto la fragile ma sincera bandiera dell’umanità, giustizia per il mondo e uguaglianza per gli esseri umani.

“Voi G8, noi sei miliardi!” si gridava con forza e ingenua convinzione prima che l’inaudita repressione delle forze dell’ordine e le torture della Scuola Diaz e di Bolzaneto, condannate con sentenza definitiva della magistratura italiana nel 2017, si scaraventassero sui manifestanti inermi, mentre pochi facinorosi e molti infiltrati contribuivano allo scompiglio generale, mettendo a ferro e fuoco il capoluogo ligure. Centinaia di giovani hanno avuto ossa rotte, un fiume di sangue è sgorgato da corpi inermi e ha attraversato la città, un ragazzo semplice e buono, Carlo Giuliani, è stato ucciso dai carabinieri, in una piazza che oggi porta il suo nome, scritto col pennarello, sopra quello ufficiale di Alimonda.

L’aggressione ai manifestanti da parte delle forze dell’ordine fu durissima.

Da allora, da quei giorni in cui io stesso sono stato presente e ho raccontato quando ne ho avuto la forza sei anni dopo, nel libro “Col cuore nei giorni di Genova”, sono passati venti anni, densi di fatti, di avvenimenti, di storia.

La presunta continuità coi movimenti odierni

Alcuni accostano i movimenti di oggi, in realtà tutti occidentali, da quello contro il razzismo a quello per il clima e l’ambiente, che non a caso si sono popolarizzati con nomi inglesi, a quelli di ieri. Tuttavia mi pare un parallelo improponibile. Oggi ancora, come ieri, regole ingiuste stringono in una morsa violenta i popoli poveri e i poveri dei popoli, tuttavia nel tempo presente appare a tutti, anche a molti dei più giovani, come questo movimentismo occidentale rappresenti un’espressione di esile ribellismo, capace di durare qualche mese per poi esaurirsi con la stessa velocità con cui è divampato. Molti giovani oggi intuiscono che questi movimenti sono forse non inutili, ma certamente inefficaci, non contribuiscano a costruire alternative, nazionali e internazionali.

Nel 2001 denunciavamo sgomenti un decennio di liberismo preso a dogma anche da tutta la sinistra socialdemocratica occidentale, inginocchiatasi di fronte al sopravvento della finanza speculativa e delle multinazionali predatrici. Abbiamo assistito, allibiti e quasi inermi, alla vittoria delle multinazionali occidentali, al furto delle materie prime energetiche e alimentari, allo schiavismo nei campi e nelle fabbriche imposto alle donne e agli uomini di Asia, Africa e America Latina, poi anche costretti a migrare per portare nella vecchia Europa manodopera a basso costo per raccogliere pomodori e assistere gli anziani soli.

Alcuni degli slogan esposti, gridati e rivendicati a Genova nel 2001.

Ci sono poi due ordini di realtà che confliggono con questa presunta continuità, anzi la negano e svelano come il destino degli otto miliardi di esseri umani che popolano attualmente il pianeta abbia poca correlazione con le battaglie per i diritti civili e sessuali e con un ecologismo che perde di vista la realtà concreta per inseguire le multinazionali e i politici sulla questione del CO2.

La questione del lavoro oggi dimenticata

La prima è che a Genova, dentro Genova e quel movimento, c’era la questione nazionale e mondiale del lavoro. Non è poco. Nel 2002 ci siamo dati di nuovo appuntamento, ancorché pochi, per provare a riannodare quel filo interrotto dalle manganellate della repressione. Nel presentare le ragioni della mia partecipazione, come sindacalista di base, così presentavo sul numero 20 – luglio 2002 di aurorarivista.it le ragioni per tornare in quella città (riporto un lungo brano, perché mi pare significativo):

I temi della pace, della non violenza, di un commercio equo e solidale tra i popoli sono strettamente interconnessi con quelli del diritto al lavoro. Violato e sistematicamente disatteso calpestando anche le più elementari tutele sancite dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Basti pensare che 223 sindacalisti sono stati uccisi o fatti scomparire nel corso del 2001, quattromila arrestati, mille feriti e diecimila licenziati, perché una logica liberista sempre più esacerbata non tollera limiti. Di esempi se ne potrebbero citare molti, a partire dal Bangladesh in cui il 2 maggio 2001 Iqbal Majumber, segretario generale del sindacato Jatiyo Sramik, è stato freddato all’uscita dal suo ufficio. Quale la sua colpa? Aver creato un movimento sindacale in Bangladesh e lottare contro le privatizzazioni in atto e la generale deregolamentazione del lavoro. Naddem Dar nel giugno 2001 ha voluto creare un sindacato nella fabbrica tessile in cui lavora, in Pakistan, per tutta risposta il padrone lo ha fatto sequestrare e torturare per convincerlo a desistere, ma lo sciopero dei colleghi di Dar ha portato alla sua liberazione. In Sudcorea dal 2001 oltre 200 sindacalisti sono in galera e nel corso dei Mondiali di calcio del 2002 sono stati arrestati gli insegnanti che hanno indetto uno sciopero spontaneo. In Indonesia una vertenza è stata risolta dal direttore di una fabbrica automobilistica di Jakarta con il pagamento non degli arretrati ma di malavitosi che hanno assaltato gli scioperanti ferendone molti ed uccidendone due. Toure Fankroban dell’Unione Generale dei Lavoratori della Costa d’Avorio ha denunciato, nella riunione dei sindacalisti africani tenutasi nel Burkina Faso nel marzo 2002, come il 40 % dei bambini del suo paese sia costretto a lavorare, così come larga parte dell’infanzia di quel continente, sempre più assorbita nel settore informale.”

Il tema del lavoro, che oggi è solo peggiorato, pure in Europa, visto che i sindacalisti della logistica muoiono sotto i camion delle merci, non rientra più tra i temi principali della sinistra socialdemocratica e dei movimenti sociali che proprio per le loro richieste ancillari e innocue verso il sistema, vengono tollerati, quando non vezzeggiati.

Cina, Russia e Iran sono da tempo impegnate nella costruzione di un mondo multipolare.

Le nuove prospettive del multipolarismo

La seconda realtà, ancora più rilevante, è che si è delineata nel decennio successivo a Genova e in questo ultimo decennio si è consolidata con tutta la forza dei fatti e dei risultati, un’alternativa all’ordine liberista speculativo dell’imperialismo occidentale al servizio delle multinazionali, che utilizzano la NATO come loro polizia privata. Esiste ed è formata da quelle donne e da quegli uomini, così come da quelle nazioni, che in ogni angolo della terra si riconoscono nella costruzione di un mondo multipolare e di pace e rifiutano l’unipolarismo di matrice statunitense che, oggi con evidenza maggiore rispetto a venti anni fa, è l’origine dei guasti, delle violenze e delle ingiustizie mondiali. Questo mondo multipolare e di pace oggi non è un coacervo di realtà deboli e slegate, ma ha (mentre venti anni fa non lo aveva) uno schieramento mondiale chiaro, dichiarato ed esplicito. Cina, Russia, Iran, Venezuela, ma potremmo aggiungere Cuba e Bolivia in America Latina, Angola in Africa, Laos, Vietnam e Mongolia in Asia, così come molti partiti comunisti di tutto il mondo, molti sindacati, molte associazioni, hanno piena consapevolezza dello scontro in corso tra unipolarismo e multipolarismo e di come questo possa segnare, in negativo nel caso del prevalere del primo e in positivo nel caso dell’affermarsi del secondo, il destino dell’umanità.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.