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Europei 2021, ancora una volta calcio e politica

Da oggi all’11 luglio 2021, in undici città europee (si inizia a Roma con Italia – Turchia, si chiude nel londinese stadio di Wembley con la finale), ventiquattro squadre continentali si disputeranno il trofeo inventato da Henri Delaunay, ancora una volta un francese come De Coubertin per le Olimpiadi e Rimet per il mondiale di calcio. L’idea di un campionato che affratellasse i popoli europei sorge con la nascita della UEFA nel 1954 e si corrobora dopo i trattati di Roma che vedono Italia, Francia, Germania Ovest e Belgio, Olanda e Lussemburgo fondare nel 1957 il Mercato Economico Comune (MEC), poi Comunità Economica Europea e infine oggi Unione Europea di ventisette nazioni, non più ventotto dopo che il Regno Unito ha votato la Brexit.

Questo europeo, dilatato alla metà delle squadre del continente, come l’anno prossimo in novembre si vedrà per le stesse ragioni di interessi e sponsor allargato il mondiale qatariota a ben 48 nazionali in rappresentanza di un quarto degli stati della terra, doveva celebrare l’Unione Europea e la libera circolazione, in questo caso non dei lavoratori a basso costo, ma dei turisti, tuttavia la pandemia e i blocchi nei movimenti aerei, così come gli stadi vuoti o con pochi spettatori, hanno vanificato le speranze dei promotori, regalando un quadro che già si prospetta abbastanza desolante, con qualche timida bandierina chiamata a sventolare nel vuoto generale.

Non è andata meglio ai propositi politici delle origini, delle sei fondatrici dell’Unione Europea al primo campionato continentale del 1960 partecipa solo la Francia, le qualificazioni vedono in campo tutte le nazioni socialiste ad esclusione dell’Albania, le due dittature fasciste di Spagna e Portogallo, i danesi per tutti gli scandinavi e gli irlandesi ben lieti dell’assenza delle quattro britanniche, partecipanti ai mondali del 1958. L’Europeo del 1960 si svolge in Francia e le quattro qualificate sono la Cecoslovacchia e i padroni di casa e le due finaliste: Unione Sovietica e Jugoslavia, che vede prevalere la prima per 2 a 1, con l’eroe dell’Unione Sovietica Lev Jašin, portiere e capitano, sollevare l’unico trofeo vinto dalla prima nazione degli operai e dei contadini, insieme ai due ori olimpici del ’56 e dell’88.

Il primo europeo della storia, giocato nel 1960, venne vinto dalla squadra dell’URSS.

Un Europeo segnato dalla politica internazionale

In questo 2021 manca solo il Lussemburgo tra i fondatori dell’Unione Europea e Francia e Germania, che sono nello stesso girone, partono come favorite, con l’intenzione di ritrovarsi in finale. A contendersi il trofeo anche altre undici nazioni dell’Unione, le scandinave Danimarca, Finlandia e Svezia, ma quest’ultima senza Zlatan Ibrahimovic, dall’Europa centro-orientale Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria, Polonia e Croazia, infine le iberiche Spagna e Portogallo. Sicuramente Ursula von der Leyen spera che ad alzare la coppa sia una di queste squadre, ma l’imprevedibilità del gioco del calcio potrebbe riservare divertenti sorprese. Intanto ci sono le tre britanniche, Inghilterra, Galles e Scozia, quest’ultima desiderosa tanto dell’indipendenza, quanto di rientrare nell’Unione Europea, quindi la Turchia, oggetto di quotidiani attacchi da parte degli eurocrati, la Svizzera, sempre più insofferente verso i trattati bilaterali con l’Unione Europea, quindi la Macedonia del Nord, esordiente al pari dei finnici, capitanata dal trentasettenne Goran Pandev, oggi al Genoa e nel 2010 nell’Inter tre volte campione di Mourinho. I macedoni sono con i croati i soli a rappresentare il calcio ex jugoslavo, eliminati serbi, sloveni e bosniaci, e il loro governo, che ambisce a entrare nell’Unione Europea, si augura che la partecipazione alla manifestazione continentale possa contribuire a far conoscere la loro nazione, cercando di fare pressione sulla signora von der Leyen, la quale fa molte promesse, ma non ha ancora aperto i negoziati coi macedoni per l’eventuale adesione.

Infine ci sono Ucraina e Russia che per fortuna il tabellone non dovrebbe far incontrare, il biasimevole odio antirusso degli ucraini è noto, come è altrettanto risaputa la partecipazione di estremisti di destra e di nostalgici dell’occupazione nazista nel governo ucraino, in più, se non bastasse la crisi nel Donbass, gli ucraini hanno realizzato un video per promuovere la nuova maglia della nazionale in cui comprendono i confini della Crimea, notoriamente riunitasi con referendum alla Russia. Varrebbe la pena aggiungere che le arroganti istituzioni europee che già mal sopportano bulgari e rumeni, per altro eliminati nelle qualificazioni per l’Europeo, hanno fatto e fanno promesse mirabolanti agli ucraini, ma non vi è nessunissima intenzione di farli entrare nell’Unione Europea. La Russia come risaputo promuove con i cinesi un mondo multipolare e di pace e proprio alla vigilia di questi europei Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO ha dichiarato, senza giri di parole, che a suo dire la Cina e la Russia rappresentino pericoli per l’Occidente. In più la Russia ha difeso la Bielorussia per l’arresto per terrorismo del giovane Roman Protasevič, un signore finanziato da polacchi, baltici e statunitensi per video-identificare medici e professori che sostengono il presidente Aljaksandr Lukašėnko e farli malmenare dagli attivisti “pro-democrazia” (leggi qui), come sono demenzialmente definiti a reti unificate dalle televisioni europee. È evidente quindi che ogni punto conquistato dai russi e ogni rete da loro realizzata susciterà pesanti mal di stomaco a tutti gli eurocrati di Bruxelles, asserviti per intero alla nuova strategia di guerra invocata da Joe Biden.

La nuova maglia ucraina riporta anche la Crimea, territorio facente parte della Federazione russa.

Sfide incrociate a caccia della Coppa

Tuttavia a margine delle complicazioni politiche, economiche e affaristiche, c’è sempre il gioco. Così ci si aspettano i soliti vezzi di Cristiano Ronaldo, che dovrà provare a difendere il titolo conquistato dal Portogallo nel 2016 a danno dei francesi proprio a Parigi, sulla panchina lusitana ancora Fernando Santos, mentre a Paulo Sousa si sono affidati i polacchi di Robert Lewandowski, aspirante pallone d’oro, un allenatore italiano, Marco Rossi, guida i magiari, che hanno eliminato gli islandesi, protagonisti nelle ultime edizioni di mondiali ed europei. Al magontino Franco Foda, figlio di un operaio immigrato italiano nella Germania degli anni ’60, è affidato il compito di rinverdire i fasti del calcio austriaco da troppi decenni sbiadito.

L’Italia di Roberto Mancini dovrà dimostrare di avere oltre un buon centrocampo, attaccanti che capaci di segnare nelle partite importanti o e difensori degni della scuola catenacciara, gli elvetici hanno perso il capitano Stephan Lichtsteiner, sostituito da Granit Xhaka e l’allenatore Vladimir Petković questa volta, rispetto ai mondiali russi in cui ha portato tutti a Togliattigrad, ha preferito la campagna romana come sede del ritiro rosso-crociato. La Germania formata da promettenti nuovi giovani discute di Leroy Aziz Sané, chi dice si impegni poco, chi lo vuole perché di origini senegalesi, chi non lo vuole per le stesse ragioni. Frank de Boer è costretto a vincere perché fa giocare l’Olanda con un modulo difensivistico e riceve valanghe d’insulti dai suoi concittadini, i quali da sempre preferiscono attaccare e perdere, come ricordava Gianni Brera.

C’è poi l’allenatore spagnolo Luis Enrique, quello che si è preso la famosa gomitata nei denti da parte del milanista Tassotti in Italia – Spagna ai mondiali del 1994, che per la prima volta non ha convocato nessuno del Real Madrid in nazionale, neppure Sergio Ramos, sebbene siano stati estesi a 26 i convocabili, causa Covid, che potrebbe bloccare qualcuno, e sta suscitando le ire di molti tifosi e di molti procuratori sportivi che vedono deprezzati i loro assistiti, l’altro spagnolo Roberto Martinez è alla guida dei belgi e vorrebbe arrivare di nuovo in semifinale come ai mondiali, per dimostrare di essere più bravo del suo conterraneo.

Insomma, per un mese il ruzzolare della palla sui verdi campi di gioco incrocerà come sempre cronaca e politica, perché da sempre questo è il destino dello sport e del calcio.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.