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Profitti e interessi hanno travolto il calcio europeo

Politica, istituzioni del calcio e tifosi, tenuti all’oscuro del progetto e per questo molto risentiti, in ogni parte d’Europa, hanno fatto naufragare, almeno per il momento la Superlega di calcio. Un progetto arrogante ma nelle intenzioni dei proponenti volto a sanare i loro colossali debiti.

Nella società capitalista il merito e così come i meriti sportivi non esistono, il piagnucolare generalizzato è condivisibile, ma arriva tardi e non può contraddire i fatti, esistono solo i profitti e Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Arsenal, Chelsea, Manchester United, Manchester City, Tottenham, Liverpool, Juventus, Milan ed Inter volevano i soldi della banca statunitense JP Morgan e tuto è rientrato solo non per lo sdegno dei tifosi e dei politici, ma quando la UEFA ha trovato un bel po’ di miliardi dai londinesi del Centricus Assets, un fondo pronto a investire in una specie di Superlega dell’Uefa quanto le dodici società desiderano.

La molta retorica versata su questa vicenda dunque non può cambiare la sostanza dei fatti, il calcio per come lo abbiamo conosciuto è morto da anni, spazzati via il gioco e le sue regole, come la valorizzazione dei giovani talenti, l’attaccamento alla maglia, il rito collettivo tanto ben spiegato da Pier Paolo Pasolini che ne avvalorava il significato di ultima rappresentazione sacra.

Il calcio oggi è uno spettacolo mediatico mondale e la sua capacità di catalizzare i media, cartacei e televisivi, muovere montagne di denaro per i diritti delle trasmissioni in diretta, condizionare il sistema pubblicitario, attraverso i suoi campioni più celebrati e pagati è una realtà che da tempo ha stravolto ogni presupposto.

La storia del calcio nel Novecento è stata quella di alcune squadre più ricche, con presidenti più generosi, spesso espressione dei grandi centri urbani, che nel secolo precedente avevano visto svilupparsi tra i ceti proletari, così come tra gli studenti borghesi, la passione per la palla che corre scalciata sul manto erboso.

I presidenti delle piccole società crescevano con passione giovani che davano lustro ai piccoli blasoni provinciali e ogni tanto ne vendevano un paio per garantire con accortezza che il calcio, tutto e in tutta Europa, dalla prima alla quarta divisione, potesse continuare a essere passione e spettacolo di popolo e per il popolo. Oggi una squadra di quarta serie, in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna, non costa meno di mezzo milione di euro l’anno ipotizzando, tra giocatori, tecnici e personale vario, dal medico al massaggiatore, venti dipendenti a milleduecento euro netti al mese più contributi, comprendendo anche le spese per il materiale, la manutenzione dello stadio, di cui molti oneri ricadono sulle casse delle amministrazioni comunali, e la logistica legata alle trasferte. È una cifra non più sostenibile, perché le grandi squadre i giovani talenti se li vanno a cercare quando hanno dieci anni in giro per tutti i continenti e non aspettano certo che la squadra di quarta divisione glieli vendano. Così in provincia sono spariti i presidenti, spesso piccoli imprenditori del territorio, affezionati alla loro squadra e sono arrivati cialtroni, ladri, affaristi, speculatori, un teatrino penoso e devastante, in cui le poche virtuose eccezioni sono più il ricordo di un passato degno che l’esempio per un futuro sempre meno decifrabile.

La pandemia mostra stadi vuoti, così sono spariti per tutti, grandi e piccoli, i biglietti, gli abbonamenti annuali, e ancora le bandiere, le magliette e il resto del merchandising, di piccole dimensioni per una piccola squadra, più rilevanti per le grandi che si pongono sul mercato come brand globali in cui contratti sostanziosi sui diritti televisivi, sponsorizzazioni e merchandising rispondono agli stipendi stratosferici dei calciatori e alle necessità economiche, aziendali e commerciali delle società. Andrea Agnelli, presidente della Juventus e tra i più screditati dall’intera vicenda, ripete in ogni momento che il calcio non è più un gioco, ma un comparto industriale. Un tragica verità che rischia di affondare, prima ancora di essere discussa, qualsiasi idea di azionariato popolare, brillante, romantica, ma tardiva e poco praticabile, a partire dalle difficoltà economiche dei tifosi che in tutta Europa faticano ad arrivare alla fine del mese.

Siamo quindi di fronte al collasso inevitabile di un sistema che non funziona più, in cui le grandi squadre pretendono un circo mediatico tutto loro, dentro o fuori dalla UEFA cambia poco, tutto il resto dovrà diventare amatoriale e non professionistico, ovvero un calcio in cui ritornare a far giocare i ragazzini dei quartieri che stanno intorno allo stadio e nulla più.

Chi ama il calcio potrà continuare, appena la pandemia lo permetterà, a seguire le partite allo stadio vicino casa o adesso in tempo di pandemia su Youtube, canale su cui in chiaro già si vedono la domenica migliaia di partire di quarta serie di tutta Europa in diretta e gratuitamente. Non sarà un boicottaggio, ma una scelta, meglio Giovanni, Filippo e Matteo, gli amici del quartiere, piuttosto che Messi e Ronaldo.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.