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La realtà dei “campi di concentramento” nello Xinjiang

Il presente articolo costituisce una libera traduzione dell’articolo di He Zhao intitolato “Xinjiang: Facts Vs. Fiction” (leggi qui la versione originale in inglese). Le parti successive del testo verranno pubblicate su sinistra.ch nelle prossime settimane.


Un articolo della “National Public Radio”, scritto dopo che i suoi reporter avevano visitato lo Xinjiang conducendo numerose interviste, utilizza un linguaggio che tenta faticosamente di ritorcere il tutto contro la Cina, nonostante mostri chiaramente che i cosiddetti “campi di concentramento” non sono altro che scuole, e che gli studenti sono criminali comuni e persone con connessioni accertate al fondamentalismo estremista, che però durante i weekend possono tornare a casa.

Paesi e organizzazioni musulmane lodano gli sforzi cinesi contro l’integralismo

Nahdlatul Ulama, la più grande organizzazione di massa dell’islam sunnita e i governi musulmani del mondo non hanno condannato le azioni della Cina: conoscono infatti la prassi degli USA nell’incoraggiare l’instabilità nei propri paesi (leggi qui). Gli USA hanno creato il problema degli uiguri nello Xinjiang fomentando i terroristi in loco, con la stessa tattica usata a Cuba, in Venezuela, in Vietnam, in Irak, in Afghanistan, in Siria, in Libia, ecc. Tra gli Stati che sostengono le politiche cinesi nello Xinjiang ci sono Iran, Irak, Sri Lanka, Gibuti e Palestina. Altri Paesi hanno poi espresso il loro supporto in lettere separate e varie conferenze stampa; molti di loro hanno potuto inviare proprie delegazioni in visita nello Xinjiang.

Diplomatici stranieri in visita nello Xinjiang nel febbraio 2019.

In una lettera congiunta all’ONU (leggi qui), 37 paesi hanno dato credito agli sforzi cinesi contro il terrorismo e per lo sradicamento dell’estremismo, lodando la Cina per la sua economia e il suo progresso sociale, le sue efficaci misure antiterrorismo e di deradicalizzazione e per la garanzia dei diritti umani; vengono apprezzate le opportunità date a diplomatici, organizzazioni internazionali e giornalisti di visitare lo Xinjiang. Con questa lettera si punta a mettere a confronto la visione dello Xinjiang tra coloro che hanno visitato la zona e quanto mostrato dai media occidentali e, nel contempo, si sollecitano gli Stati a rinunciare a usare informazioni non veritiere e non supportate da fatti allo scopo di accusare ingiustamente la Cina.

I membri della “Shanghai Cooperation Organisation” sono prevalentemente musulmani o hanno una considerevole parte della popolazione di fede musulmana. Essi conoscono e capiscono le sfide della Cina nel combattere il terrorismo e il separatismo etnico. Come conseguenza supportano pienamente gli sforzi per sradicare la falsa ideologia che ne è alla base.

Le missioni diplomatiche e la Banca mondiale confermano: non ci sono “campi di concentramento”

I diplomatici di 12 paesi (Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tajikistan, India, Pakistan, Indonesia, Malesia, Afghanistan, Tailandia e Kuwait) con popolazione a larga maggioranza musulmana hanno visitato lo Xinjiang sotto invito del Partito Comunista Cinese (leggi qui). Non a caso in quel periodo sono cresciuti gli appelli in Occidente per mettere sotto pressione il governo del presidente Xi Jinping: alcuni esponenti politici degli Stati Uniti hanno proposto di congelare i viaggi e le attività dei vertici cinesi, includendo il capo del Partito Comunista dello Xinjiang, Chen Quanguo.

Durante tali visite Shohrat Zakir, governatore dello Xinjiang, e il più anziano uiguro della regione, hanno respinto quelle da loro definite come “bugie diffamatorie” riguardanti le strutture in questione, spiegando che i centri sono stati “estremamente efficaci” nel ridurre l’estremismo, insegnando ai residenti il diritto e aiutandoli ad apprendere il Mandarino, giudicando peraltro non realistico il numero di internati.

“Ho trovato i centri educativi totalmente differenti da come vengono riportati dai media occidentali, in cui si dice che gli studenti vengono maltrattati”, dice Kamal Gaballa, giornalista egiziano, che ha visitato molti centri educativi presso Hotan e Kashgar (leggi qui). Aggiunge poi che “gli apprendisti studiano sia lingua che legge e imparano come trattare gli altri gentilmente. Questo grande provvedimento è un mezzo efficace per liberarsi dell’estremismo. Spiegherò tutta la verità su ciò che vedo qui al popolo egiziano”.

Musulmani uiguri durante una cerimonia fuori dalla Moschea Id Kah alla fine del mese del Ramadan a Kashgar, Xinjiang.

Successivamente personaggi come Marco Rubio hanno accusato la Cina di dirottare fondi dalla Banca Mondiale (BM) per “perseguire” gli uiguri e metterli in “campi di concentramento”. La BM ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Il lavoro della Banca Mondiale è guidato da principi fondamentali di inclusione, con una considerazione speciale per la protezione delle minoranze e delle persone vulnerabili. Quando vengono mosse delle accuse, la Banca Mondiale le prende seriamente e le esamina a fondo. Da protocollo, immediatamente dopo aver ricevuto una serie di gravi accuse nell’agosto 2019 in relazione al progetto di istruzione e formazione tecnica e professionale dello Xinjiang, la Banca ha pertanto avviato una valutazione di accertamento e i dirigenti della BM si sono recati nello Xinjiang per raccogliere direttamente le informazioni. Dopo aver ricevuto le accuse, non sono stati effettuati esborsi sul progetto. Il team ha condotto una revisione approfondita dei documenti di progetto, ha partecipato a discussioni con lo staff del progetto e ha visitato le scuole finanziate direttamente dal progetto, nonché le scuole partner che sono state oggetto di accuse. La revisione non ha corroborato le accuse” (leggi qui).

Un articolo pubblicato dal «Time Magazine» prima dell’attuale campagna sinofobica, tenta ancora attualmente di capovolgere la situazione, ma rende rende evidente come non ci sia islamofobia da parte del Partito Comunista Cinese. Eccone un breve estratto: “con l’aumentare degli spargimenti di sangue nello Xinjiang – l’ultimo scontro il mese scorso, che il governo cinese ha etichettato come ‘violento attacco terrorista’, secondo una fonte ufficiale ha visto quasi 100 persone uccise – le autorità hanno intensificato il giro di vite su alcune espressioni spirituali musulmane (non permettendo usanze non-uigure come le barbe lunghe e i burqa, importati dal Medio Oriente). Questo non significa che Pechino stia limitando l’Islam su scala nazionale. Infatti, i membri della comunità Hui musulmana godono di una fede sempre più fiorente in quella che è, ufficialmente, una nazione comunista e atea.”

Samuel Iembo

Samuel Iembo è stato dal 2015 al 2020 coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera. Dopo la maturità presso la Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona, ha iniziato un percorso accademico.