Il 7 marzo 2021 saremo chiamati ad esprimerci in merito alla “legge federale sui servizi d’identificazione elettronica”. Adottata dall’Assemblea federale il 27 settembre 2019, questa legge si prefigge di regolamentare l’identificazione delle persone su internet, al fine di facilitare l’acquisto di merci e servizi in forma digitale.
Tuttavia, la realizzazione tecnica di questa legge è stata lasciata al libero mercato, ragion per cui il fronte progressista ha lanciato con successo un referendum che è all’origine della votazione a venire. E le preoccupazioni, a questo riguardo, sono ragionevoli e ben fondate.
Lo Stato deve conservare le sue prerogative sovrane
Abbandonando l’attuazione tecnica di questa legge al libero mercato, di fatto, lo Stato delega un suo compito sovrano – quello dell’identificazione della popolazione e della produzione di documenti d’identità – al settore privato.
Ed è inammissibile che un compito così importante e centrale sia lasciato in mano ai privati (che saranno mossi esclusivamente da una logica economica). Fin dove vogliamo spingere la privatizzazione dei compiti statali?
Se ne sono accorti, giustamente, anche i cantoni di Vaud, Ginevra, Neuchâtel, Svitto, Zugo, Basilea Città, Obvaldo e Soletta, che hanno sottolineato il carattere sovrano di questo compito.
Si tratta di un vero e proprio documento d’identità
Checché ne dica il parlamento e il Consiglio federale, l’identità elettronica si apparenta, perlomeno, a un vero e proprio passaporto o carta d’identità. Certo, non permette ancora di viaggiare (il che non è per forza da escludere in avvenire), ma ha lo stesso grado di legittimazione di un passaporto, e potrà permettere, in seguito, di condurre le proprie pratiche amministrative online o ancora di votare per via elettronica!
Oltretutto, seppur attualmente facoltativa, in futuro l’identità elettronica potrebbe divenire obbligatoria, esattamente come un vero e proprio documento di identità. Non si comprende perché il compito di fornire l’identità elettronica possa essere attribuito ai privati mentre quello di fornire il passaporto e le carte di identità è attribuito allo Stato.
Se approvata, questa legge sarà il preludio per un’ulteriore privatizzazione dei compiti sovrani dello Stato. E di questo passo, presto o tardi, anche i documenti d’identità già esistenti potrebbero entrare nel mirino del mercato. Bisogna essere lungimiranti e difendere fino all’ultimo le competenze sovrane dello Stato, di cui la produzione di documenti d’identità fa indiscutibilmente parte.
Non si deve lucrare sui nostri dati
Non ci serve un’ulteriore liberalizzazione: non possiamo lasciare la nostra identità elettronica alla mercé del libero mercato. Questa liberalizzazione sarebbe fin troppo proficua, e lo hanno compreso bene quei settori privati cha hanno fiutato un’occasione per fare profitti.
Lo sappiamo tutti: le imprese private sono avide dei nostri dati… ricordiamo la recente polemica legata a Facebook e Whatsapp? In un mondo in cui i colossi dei web – che potrebbero pure occuparsi dell’attuazione tecnica di questa legge – commercializzano i nostri dati, non possiamo rischiare che le nostre informazioni personali finiscano in mani sbagliate. E il tanto declamato rafforzamento della protezione dei dati è solo una chimera, che non saprà effettivamente proteggerci dagli abusi.
Lo sa bene anche la popolazione: secondo un sondaggio rappresentativo del 2019, l’87% della popolazione preferisce una soluzione pubblica. È evidente poi che, con queste cifre, l’introduzione dell’identità elettronica nella sua forma attuale non riscuoterebbe il successo sperato: perché vanificare allora gli sforzi per un adeguamento tecnologico
Un’alternativa più semplice, sicura e uniforme esiste
Uno degli obiettivi di questa legge è quello di semplificare e unificare il processo di identificazione elettronica. Lasciando la realizzazione tecnica al mercato, il rischio è che ci saranno più imprese e quindi più fornitori con soluzioni differenti. A che pro, se lo Stato può incaricarsi di mettere a disposizione una soluzione unica, efficace e uniforme?
Lo ha capito bene la vicina Francia, dove l’analoga tecnologia della firma elettronica viene implementata direttamente da un ente statale. Restando più vicini, anche il Canton Sciaffusa e la città di Zugo hanno optato per una soluzione pubblica.
In definitiva, seppur condividendo la necessità di adeguarsi al progresso tecnologico, nella sua forma attuale questa legge non può essere approvata. Per queste ragioni, vi invito a votare un convinto NO a questa legge privatistica sui servizi d’identificazione elettronica: la nostra identità è troppo preziosa per essere privatizzata!