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Sant’Eugenio, la scuola non fa storia. Una commedia in quattro atti.

Negli scorsi giorni, il Partito Comunista ha denunciato una situazione di sbando al Centro oto-logopedico cantonale sito a Locarno. Non si sono fatte attendere smentite dalla stampa e da non meglio precisare “fonti”, rivelatesi poi pretestuosamente attente a dettagli trascurabili. Dopo l’intervista pubblicata su La Regione, nella quale l’ormai ex direttore non le manda a dire al comitato della scuola, occorre fare un po’ d’ordine sulle problematiche che attanagliano l’istituto e che sembra si voglia continuare a ignorare.

Atto primo: scuole a gestione privata di ispirazione religiosa e finanziamenti pubblici

Il deputato comunista Massimiliano Ay

Lo scorso primo marzo 2019, Partito Comunista, con il suo deputato in Gran Consiglio Massimilano Ay, aveva presentato un’interrogazione all’indirizzo del Consiglio di Stato, per chiedere delucidazioni al DECS circa la qualità di gestione della scuola e la laicità della stessa. L’Istituto Sant’Eugenio, interamente sussidiato dal Cantone, rientrava, assieme ad altre due scuole, nell’inchiesta svolta dai comunisti sulla base di informazioni dichiarate dalle scuole stesse sui propri siti. A questo link, è possibile leggere l’intera interrogazione (con le annesse fonti per gli stralci citati) che, per motivi di sintesi, riporteremo solo in parte.

Nei mesi trascorsi, a risposta non ancora giunta, dal sito dell’Istituto sono “misteriosamente” scomparsi quasi tutti gli stralci citati nell’interrogazione. La parte con i riferimenti all’orientamento religioso è, infatti, scomparsa. Ma non del tutto dal web: infatti, aggiornata al più tardi allo scorso anno con la nomina del direttore Pietro Celo (all’inizio dell’anno scolastico 2018/19), essa risulta ancora sul sito svizzero delle scuole cattoliche (link). Una circostanza particolare, siccome la scuola privata ha chiuso i battenti a metà 2016.

Tornando al sito del Sant’Eugenio, si leggeva che, oltre al completo sussidio cantonale, «la scuola elementare e dell’infanzia del Centro è riconosciuta e parificata alla scuola elementare pubblica e ne segue il programma così da favorire, per quanto possibile, l’inserimento dell’allievo/a nella SE regolare o nella Scuola Media». La gestione dell’Istituto era affidata alla «Associazione Istituto Sant’Eugenio», la quale «segue la via tracciata dalle suore della Congregazione di Ingenbohl (www.kloster-ingenbohl.ch)». Un ente, quindi, di natura esplicitamente religiosa.

Il municipale di Locarno Giuseppe Cotti

Sulle pagine web, si leggeva inoltre che l’Associazione Istituto Sant’Eugenio – i cui membri del Comitato dell’Associazione, sono Dafne Ferroni-Luban (presidente), Massimo Respini (vice presidente), Suor Reto Lechmann, Don Carmelo Andreatta, Anne Haugaard, Giuseppe Cotti (titolare dei dicasteri Educazione, Cultura e Sport come municipale di Locarno) – ha come «scopo»:
a) assumere l’attività e la gestione dell’Istituto Sant’Eugenio dal 01.09.2002 impegnandosi a mantenere tutti i servizi esistenti: scuola dell’infanzia, scuola elementare, centro logopedico, mensa, doposcuola. In questo ambito l’Associazione potrà compiere ogni e qualsiasi atto che riterrà nell’interesse dell’Istituto e di tutte le strutture.
b) proseguire il sostegno morale dell’Istituto Sant’Eugenio affinché lo stesso continui a stimolare nei giovani i determinanti valori di conoscenza, di socialità e di fede, in armonia con gli ideali della Congregazione delle Suore della Santa Croce di Ingenbohl, alla luce del motto di Madre Maria Teresa Scherer: “Scoprire quel grammo d’oro che è nascosto in ogni persona”».

L’Istituto Sant’Eugenio è oggi composto solo dal Centro oto-logopedico, in quanto «nel mese di giugno del 2016, in seguito ad un calo importante di iscrizioni e ad un aumento dei costi, l’Associazione ha deciso di chiudere la parte privata dell’Istituto, mantenendo la scuola dell’infanzia ed elementare del Centro oto-logopedico dove sono accolti bambini che presentano disturbi del linguaggio e uditivi». L’affiancamento storico della scuola privata al centro specializzato, che un tempo venne giustificato dall’apertura da parte di suore per bambini sordi o con bambini con importanti disturbi del linguaggio, e poi riconosciuto dal Cantone e sussidiato, è quindi decaduto. Ciononostante, una associazione privata di stampo religioso continua a gestire una scuola finanziata.

Atto secondo: Sant’Eugenio allo sbando?

Lo scorso 18 giugno, il Partito Comunista viene a conoscenza del fatto che l’attuale direttore dell’Istituto è stato licenziato (in tronco) dal comitato dell’associazione. Da fonte certe, sappiamo che si tratta del secondo cambio al timone pedagogico della scuola nel giro di un anno, dopo che la precedente direttrice aveva dato le dimissioni al termine dello scorso anno scolastico in polemica con la gestione del comitato dell’Associazione Istituto Sant’Eugenio.

Il Partito Comunista invia così ai media un comunicato stampa sulla vicenda (link): alle perplessità di ordine laico rispetto alla gestione della scuola, vanno a sommarsi – attraverso fatti concreti, pubblici e conclamati – quelle sulle competenze gestionali. Già nell’interrogazione al Consiglio di Stato ci si chiedeva perché il DECS delegasse a un’associazione privata la gestione di una scuola di fatto pubblica, e auspicavamo che il Cantone facesse fronte ai suoi doveri di garante dell’istruzione pubblica, assumendo finalmente la gestione diretta del Centro. L’attuale comitato dell’associazione sembra non essere in grado di gestire per assicurare a una scuola specializzata la necessaria continuità pedagogica.

Atto terzo: notizie vere solo in parte. Da parte di chi?

A poche ore dall’invio del comunicato, sul sito de La Regione – e il giorno successivo sulla versione cartacea – appare il seguente articolo firmato da Davide Martinoni: link, nel quale si parla di un “avvicendamento al Sant’Eugenio”. Secondo il quotidiano, si tratta di una disdetta del rapporto di lavoro, e quindi «la notizia del “licenziamento” in tronco diramata in serata dal Partito comunista è dunque vera solo in parte». Leggiamo, inoltre, che «in realtà il direttore dell’istituto […] non avrebbe dimostrato di essere la persona giusta per quell’impiego. Non emergono, dalle nostre verifiche, irregolarità nella gestione o altre “macchie” di particolare entità. Semplicemente, sostiene una fonte, “il direttore, proveniente da una realtà accademica diversa (quella italiana, ndr.) si è in qualche modo scontrato con una realtà diversa, variegata, più complicata da gestire, a vari livelli, rispetto a quanto probabilmente si aspettava”». Inoltre, «a Celo è stato concesso un periodo di disdetta di 6 mesi (per questo lasso di tempo percepirà lo stipendio) e nei prossimi giorni verrà bandito il concorso per l’assunzione del suo successore».
Una risposta che vuole essere una smentita, attraverso una fonte che – ma siamo nel campo delle ipotesi – alla luce dell’ultimo pezzo della vicenda, potrebbe essere la presidente del comitato Dafne Luban Ferroni (la quale si confrontata su La Regione con l’ex direttore in data 22 giugno).

Ma torniamo all’articolo di Martinoni. La “fonte” addita il fallimento di Celo alla mancata integrazione nella realtà locale vista la sua provenienza italiana. Due domande sorgono spontanee: la “fonte”, e il comitato che lo ha nominato, non erano a conoscenza della sua provenienza formativa e professionale? Il comitato, che decide assunzioni e licenziamenti, non ha ritenuto di dover lavorare affinché il direttore potesse integrarsi nella realtà locale? E, qualora non si sia riusciti neanche così a rendere possibile un efficace governo pedagogico della scuola, non si è per caso sbagliato scelta dopo aver perso (in polemica) la precedente direttrice che aveva gestito la scuola nei precedenti quattro anni e mezzo?
La seconda questione, forse ancora più spinosa, è derivante dal periodo di disdetta di 6 mesi nel quale l’ex direttore percepirà lo stipendio. Chi paga i sei mesi aggiuntivi al direttore? Calcolando l’impiego al 60%, rispetto alla funzione, si può stimare in 25-30’000 franchi l’ammontare dovuto. Immaginando, e volendo sperare, che il Cantone non si assuma pubblicamente questa spesa, se i soldi provengono dall’associazione, essi vengono sottratti dalle risorse impiegabili per bambini che frequentano la scuola?

L’articolo che voleva sminuire le affermazioni del Partito Comunista, minimizzando e relativizzando la questione attaccandosi ai termini di licenziamento, rischia di essere un boomerang di per sé. Chi aveva riportato, quindi, le notizie vere solo in parte? Ma la storia non è finita.

Atto quarto: “Hanno voluto farmi fuori”

Così titola l’articolo di mezza pagina su La Regione del 22 giugno (consultabile su https://www.pressreader.com), nel quale viene dato spazio all’ex direttore e alla presidente dell’associazione. Un confronto duro, che lascia trasparire una grossa confusione gestionale, dal quale il Partito Comunista è stato eliminato, come se la segnalazione delle problematiche non provenisse dal comunicato stampa. Il licenziamento è stato «repentino», e Celo afferma che «neanche chi ruba viene lasciato così a casa». Il Partito Comunista parlava di “licenziamento in tronco”, la Regione di “avvicendamento” (ma chi si avvicenda se non è neanche uscito il concorso?): chi si avvicina di più alla realtà dei fatti?, e il direttore considera che esso «non ha avuto purtroppo un precedente spazio di riflessione e di condivisione che è auspicabile in casi di disaccordo». Così «in un momento caldo di chiusura dell’anno scolastico e di programmazione del prossimo, il corpo docente si ritrova senza una guida pedagogica e con prospettive incerte almeno dal punto di vista educativo e formativo». Non solo: in una email interna destinata al personale, si legge che «neanche chi ruba o delinque sul posto di lavoro viene lasciato così a casa per un capriccio o per qualche ragione inconfessata. La gravità e la pericolosità di quello che è successo credo sia chiara a tutti; le motivazioni del mio licenziamento sono pretestuose e infondate» e basata anche su « un sondaggio effettuato fra il personale “senza concordarlo con la Direzione, elaborato con domande che indirizzavano la risposta, restituito ai dipendenti senza invitare il direttore, che ancor oggi non ha i risultati in mano”. Insomma, “carta straccia anche dal punto di vista scientifico”, visto che “è stato elaborato con il proposito di farmi fuori”».
La presidente dell’associazione nell’intervista considera la decisione del licenziamento «ben ponderata», e rimarca il fatto che «assumendo una persona che era distante dalla realtà della scuola ticinese, sapevamo che non sarebbe stato facile e purtroppo i risultati, da una nostra valutazione, non sono stati soddisfacenti». Una mancanza di autocritica imputata nell’intervista all’ex direttore che, ci permettiamo di affermare, andrebbe considerata rispetto anche nell’attuale associazione.

Infine, a La Regione, Ferroni ribadisce le sue rassicurazioni alle famiglie: «siamo già alla ricerca di un nuovo direttore, che sia affine alla nostra realtà e che possa garantire la necessaria stabilità per i prossimi anni. In ogni caso, ed è un punto fondamentale, la qualità elevata del lavoro svolto dalle docenti, dal personale terapeutico e da tutti i collaboratori – che ringrazio sentitamente – non è pregiudicata da questa decisione». Su quest’ultimo punto, ci permettiamo una domanda alla presidente e al comitato dell’associazione, felici di essere eventualmente smentiti. Non ci permettiamo di mettere in dubbio la qualità del lavoro svolto da coloro che attualmente sono impiegati all’Istituto. Tuttavia, da fonti del Partito Comunista, al termine di quest’anno scolastico hanno dato le dimissioni tre logopediste dall’Istituto; l’anno scorso, invece, se ne sono andate due docenti di sostegno, una logopedista e una psicologa. Un turnover, per una scuola con sole sei sezioni, decisamente fuori dal comune. Sicuri ciò non abbia pregiudicato nulla?

Alla luce di tutto quanto sopra il Partito Comunista non può che esprimere ancora maggiori perplessità circa l’opportunità di una gestione a carattere privato di una scuola finanziata interamente dal Cantone con i soldi pubblici. Da qui l’auspicio che il DECS assuma finalmente la gestione diretta del Centro oto-logopedico di Locarno, garantendone in tal modo anche la neutralità religiosa.