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Il dibattito interno al Partito Comunista Tedesco si gioca sui BRICS

Nel Partito Comunista Tedesco (DKP) si è aperta una discussione di fondo sulla strategia politica generale. Nel 2013 tale dibattito aveva portato alla sconfitta della corrente europeista del partito, rappresentata da Bettina Jürgensen e da Leo Mayer e aveva eletto alla leadership Patrik Köbele, riconfermato poi all’ultimo Congresso di fine 2016, la cui direzione – che gode di un significativo consenso nella base – ha riportato il DKP su un orientamento leninista più rigoroso e voltato le spalle al Partito della Sinistra Europea (SE).

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Patrik Köbele, presidente del DKP

In generale le tesi congressuali dimostrano un avvicinamento del DKP alle posizioni che in Europa sono sostanzialmente difese dai Partiti Comunisti Portoghese, Italiano e Svizzero. L’analisi di politica estera in effetti riconosce lo scontro fra l’imperialismo atlantico da un lato e i fautori di un mondo multipolare dall’altro, in cui i BRICS “forniscono un contributo per fermare le pretese di dominio degli USA, della NATO e dell’UE”. Tali paesi emergenti “non sono coerentemente anti-imperialisti (…) ma la loro formazione e gran parte della loro azione lo è”. Analogie evidenti con quanto sostenuto, ad esempio, all’ultimo Congresso di Lugano dei comunisti svizzeri guidati da Massimiliano Ay.

La Direzione del DKP risulta di fatto oggi sotto attacco sia da destra che da sinistra. L’ala “liquidazionista” legata a Bruxelles di Jürgensen e Mayer si è pubblicamente distanziata dai risultati congressuali. Ma se ciò era prevedibile, non lo era la campagna di critica partita ora anche da sinistra: a dirigerla sono nomi come Philipp Kissel e Aitak Barani, quest’ultima militante di origine iraniana e volto noto dell’assistenza ai rifugiati. A dare loro manforte c’è il pastore Hans Christoph Stood, organico ai movimenti separatisti curdi attivi in Germania. Essi contestano l’orientamento strategico di fondo di Köbele che va ben oltre però all’analisi sugli esteri.

dkp_logoOltre al dibattito su come leggere le dinamiche globali, vi è infatti anche quello di tipo più ideologico. Il DKP definisce infatti l’attuale sistema economico tedesco come “capitalismo monopolistico di Stato” e da qui elabora una strategia a tappe verso una “democrazia anti-monopolistica” basata sul trasferimento dei settori strategici dell’economia nazionale sotto il controllo pubblico. La corrente di sinistra, che testimonia solidarietà alle tesi del Partito Comunista di Grecia (KKE), considera invece illusoria una tale strategia perché di fatto dilata il processo rivoluzionario. Kissel è arrivato addirittura a scrivere che “grazie alla concentrazione e centralizzazione del processo produttivo in forma di monopoli, l’introduzione della dittatura del proletariato viene facilitata”: di fatto è l’accettazione del “tanto peggio, tanto meglio” che sostanzialmente nega le tappe e le contraddizioni insite in un processo di trasformazione sociale.

Nel corso della seduta del Comitato Centrale del DKP dello scorso 28/29 gennaio, Köbele ha annunciato che il dibattito sulla strategia anti-monopolistica verrà posto all’ordine del giorno del prossimo Congresso del partito previsto per l’aprile 2018. Pragmaticamente il presidente ha difeso l’orientamento attuale del DKP e ha invitato a unire le forze “per definire nel modo più esatto possibile la tappa attuale della lotta”.