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Orazio Martinetti sull’educazione civica: “l’obiettivo è l’egemonia culturale”

Riprendiamo il seguente articolo dello storico e giornalista Orazio Martinetti, apparso sul settimanale “Azione” il 24 luglio 2017 ritenendolo interessante nel contesto dell’attuale dibattito sulla votazione per introdurre una lezione di civica obbligatoria nella scuola ticinese.


Educazione civica sì o no? Sì, naturalmente, nessuno ha mai messo in dubbio questa necessità. Il titolo dell’ultima iniziativa generica è infatti fuorviante: «Educhiamo i giovani alla cittadinanza (diritti e doveri)». Ancora più incomprensibile è la denominazione che si vorrebbe dare alla nuova materia d’insegnamento: «Educazione civica, alla Cittadinanza e alla Democrazia Diretta» (almeno due ore al mese nelle scuole medie con voto). Viviamo forse in un regime di democrazia diretta? No, quello svizzero è un sistema semi-diretto, in cui il momento rappresentativo non ha un valore inferiore al voto espresso nell’urna dal cittadino. Già qui vi si potrebbe leggere un ammiccamento al «grillismo» oggi arrembante: screditare i parlamenti (riserva protetta della «casta politica») permette sempre di raccogliere qualche consenso.

La diatriba non è nuova. Come dimostra un saggio di Marcello Ostinelli pubblicato nel n. 160 dell’Archivio Storico Ticinese, la questione era già emersa all’epoca della Rigenerazione, negli anni 30 dell’Ottocento, fase in cui Franscini rifletteva su come avvicinare i ticinesi dall’indole rissaiola alla patria comune. Basta un’istruzione fondata su un catalogo di diritti e doveri, oppure occorre introdurre un’educazione ispirata alle virtù repubblicane? Il leventinese era per la seconda opzione, ovviamente, ma si scontrava con una controparte, dagli austriacanti alla Chiesa, che non intendeva cedere porzioni di potere alle classi plebee: l’ignoranza era il miglior guardiano dell’ordine gerarchico costituito.

Anche il radicale Brenno Bertoni, sul finire del secolo, si pose il quesito, dandosi questa risposta: «La civica non dovrebbe entrare nella scuola primaria come materia speciale, ma piuttosto come parte integrante del libro di lettura, delle lezioni di cose, e dell’insegnamento geografico». Non elenchi di nozioni, dunque, mandati a memoria e presto dimenticati, ma un ragionamento sulle «cose», vale a dire sui processi reali della politica, dall’organizzazione comunale all’edificio confederale.

Bertoni non si limitò ad enunciare dei princìpi pedagogici, ma si mise alla scrivania, redigendo un buon numero di «lezioncine» che alla fine confluirono nel manualetto Frassineto, ben noto alla generazione dei nostri padri. Motto (ripreso dal radicale neocastellano Numa Droz): «La democrazia senza l’educazione popolare è un flagello».

Nel frattempo altri prontuari erano entrati nelle aule scolastiche, non tutti accettati di buon grado da famiglie e partiti. Ricordiamo qui il Libro del cittadino, promosso nel secondo dopoguerra da Guido Calgari, con contributi di Piero Bianconi, Egidio Reale (già esule italiano al tempo del fascismo), Brenno Galli, Giuseppe Lepori, Elmo Patocchi, nonché il più volte riedito Il cittadino di Regolatti-Donini. Testi che oggi consideriamo superati, soprattutto per l’aspetto didattico, ma che nascevano dentro una «forma mentis» storica: scaturivano infatti dalla consapevolezza che le istituzioni non s’erano formate dentro un vuoto pneumatico, ma nel trambusto di idee, riforme, conflitti, opposizioni, rivoluzioni e restaurazioni.

Non ha dunque senso, come fa l’iniziativa, contrapporre la civica alla storia, ossia sottrarre ore all’insegnamento della storia per assemblare una disciplina autonoma. Ogni ricostruzione del pensiero politico – dal classico Sabine ai manuali di Giorgio Galli – si fonda su una solida conoscenza del passato, dei suoi passaggi e snodi fondamentali, senza i quali non si comprende la logica delle conquiste civili, come pure le sconfitte, gli arretramenti, i passi falsi.

Ben si comprende quindi la reazione dell’Associazione dei docenti di storia Atis, che si vedono affibbiare una camicia di forza supplementare, giacché – giriamola come vogliamo – alla fine saranno sempre loro ad occuparsi delle due ore di educazione alla cittadinanza.

Si potrà dire che se non è zuppa è pan bagnato, con alcuni oneri burocratici in più da caricare sulle spalle dei recalcitranti insegnanti. Ma intanto il centro-destra ticinese, dalla Lega all’Udc, potrà collocare un altro trofeo nella sua bacheca, sventolare un nuovo gagliardetto vittorioso sul proscenio bellico-simbolico in cui oggi si svolgono le battaglie per l’egemonia culturale.