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La riforma della scuola dell’obbligo ticinese fa discutere i sindacati di docenti e studenti

Riunitasi il 7 febbraio 2017 a Bellinzona l’assemblea del gruppo docenti del sindacato VPOD presieduto da Adriano Merlini si è chinata sul progetto di riforma della scuola dell’obbligo ticinese avanzato dal Consigliere di Stato Manuele Bertoli.

Il presidente dei docenti VPOD Adriano Merlini
Il presidente dei docenti VPOD Adriano Merlini

Il progetto “La scuola che verrà” nel settore medio preoccupa i docenti per il sovraccarico di lavoro che essa potrebbe produrre e in modo particolare risulta insoddisfacente la modalità con cui il governo sta valutando di introdurre i corsi ad effettivi ridotti. L’insegnamento a blocchi e i metodi di valutazione degli allievi introdotti rischiano, secondo il sindacato VPOD, di essere particolarmente complicati e dunque generare situazioni ingestibili per gli insegnanti sempre più trasformati in funzionari. L’assemblea ha invece ritenuto che per le scuole elementari la proposta governativa sia attuabile pur con alcune correzioni. In conclusione l’assemblea “ha sottolineato più volte e con forza la condivisione dei principi fondanti la riforma stessa”.

Se insomma il sindacato dei docenti si limita a un’analisi strettamente incentrata sull’aumento di lavoro per gli insegnanti, mentre non si oppone ai principi di fondo de “La scuola che verrà”, una posizione più articolata (e nettamente più critica) arriva dal SISA, il sindacato indipendente degli studenti e apprendisti coordinato da Zeno Casella e Luca Robertini, riunitosi a Locarno il 18 febbraio scorso, che contesta l’impostazione ideologica stessa alla base del progetto governativo.

I coordinatori del SISA, Zeno Casella e Luca Robertini
I coordinatori del SISA, Zeno Casella e Luca Robertini

Secondo il SISA “La scuola che verrà” altro non è, infatti, che la declinazione ticinese delle politiche educative in voga nell’Unione Europea. In particolare gli studenti contestano il cosiddetto “approccio per competenze”: queste ultime infatti sarebbero stabilite in base alle aspettative dell’economia privata. Si tratterebbe di un approccio che il SISA ritiene una destrutturazione dell’insegnamento che spingerà verso un più forte individualismo e che metterà a repentaglio la capacità del futuro cittadino di approfondire un tema e di porsi in modo critico nei confronti di ciò che lo circonda. Una scuola profondamente “neo-liberale”, insomma, benché mascherata da parole apparentemente progressiste. Oltre a ciò a preoccupare il sindacato studentesco è anche l’autonomia di sede: essa è vista infatti come il preludio di una prossima messa in concorrenza fra istituti scolastici.

Nel frattempo sono attese anche le posizioni dei partiti politici coinvolti nella procedura di consultazione. A sinistra, il Partito Socialista ha già elaborato un documento con una decina di osservazioni che tendenzialmente non mettono in discussione la linea politica del loro Consigliere di Stato. Si prospetta invece di ben altra fattura la presa di posizione del Partito Comunista che contesta l’idea di fondo di scuola “post-moderna” che esce dai piani alti del Dipartimento ticinese dell’educazione.