È morto Eugenio Scalfari, il fondatore de “la Repubblica”. L'”intellettualità” borghese italiana, di “destra” e di “sinistra” (doppie virgolette), ne va cantando le lodi. E difatti, Scalfari è stato un grande innovatore, sul piano politico ed imprenditoriale, del giornalismo italiano. Ma c’è un punto, come comunisti odierni, che ci preme ricordare, del tutto rimosso in questi primi giorni successivi alla morte di Scalfari. E’ il seguente: il ruolo giocato da Scalfari e da “la Repubblica” ai fini dell’involuzione politica e teorica del PCI e ai fini del suo scioglimento.
Il primo numero de “la Repubblica” esce il 14 gennaio del 1976. Il quotidiano è di proprietà del Gruppo “l’Espresso” e di Mondadori Editore. La biografia politica di Scalfari è la seguente: del Partito Nazionale Fascista dal 1942 al 1943, poi del Partito Liberale e successivamente del Partito Radicale di Pannella e, dal 1962 al 1972, del PSI. Un percorso politico avente una propria coerenza interna, innanzitutto segnata dall’anticomunismo. Quando, dunque, “la Repubblica” esce, 1976, il PCI sta già vivendo una propria profonda involuzione, la sua mutazione genetica. La proposta del PCI di “compromesso storico” con la DC è del 1973; l’affermazione di Berlinguer sulla Nato (“mi sento più sicuro sotto l’ombrello della Nato”) è del giugno 1976; la scelta di Berlinguer di concepire la costruzione del socialismo solo all’interno della via parlamentare borghese è del 3 novembre del 1977, in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, a Mosca; l’affermazione di Berlinguer sull'”esaurimento della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre” è del 15 dicembre del 1981.
In questo contesto, la borghesia italiana, tramite la Mondadori e Scalfari, assegna il compito a “la Repubblica” di accelerare il processo di mutazione genetica del PCI. Dopo tanti anni, nei primo anni 2000, sarà lo stesso Scalfari, seppur in modo obliquo, ad ammetterlo, a “rivelarlo”. Il nuovo quotidiano si presenta come un foglio di “sinistra” e “radical”, fa denuncia sociale e si impegna contro la corruzione politica, recuperando i valori liberal-socialisti di Giustizia e Libertà, di Carlo Rosselli.Nel magma politico e teorico che inizia a segnare di sè, e confondere, la coscienza dei nuovi quadri e dei nuovi militanti del PCI della seconda metà degli anni ’70 e poi, di degenerazione in degenerazione, i quadri “occhettiani” degli anni ’80, “la Repubblica” liberal-socialista guadagna sempre più spazio. Sino al punto che, negli anni ’80, nelle tasche e nelle teste dei dirigenti e dei militanti del PCI vi sono ormai stabilmente due fonti di informazione e di analisi: “l’Unità” e “la Repubblica”. L’una e l’altra ormai come un unico “organo del Partito”.
Il 28 luglio del 1981 Scalfari fa a Berlinguer un’intervista che diverrà famosissima, quella dal titolo: “La questione morale”. Di questa intervista è passata agli annali solo la denuncia di Berlinguer sull'”occupazione dello Stato da parte dei partiti”. Concetto non propriamente di classe, poichè è del tutto evidente e “naturale” che i partiti della borghesia puntino storicamente ad occupare lo Stato. Obiettivo a cui dovrebbe puntare, peraltro, la classe operaia. Ma il punto non sta qui, il punto è che di questa intervista, divenuta iconica per la denuncia ai partiti borghesi di occupare lo Stato borghese, si è rimossa totalmente la parte finale, quella relativa alla proposta berlingueriana dell'”austerità”. Scalfari chiede al Segretario del PCI: “E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?” Risposta di Berlinguer: “Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell’aumento della produttività”.
La risposta di Berlinguer sta tutta dentro la svolta moderata del PCI e della CGIL di Luciano Lama relativa alla “concertazione”, dei sacrifici che devono fare i lavoratori e dell’accantonamento del conflitto sociale e di classe. Il salario, anche a partire dall’intervista a Berlinguer, non è più una variabile indipendente. Esso può essere contenuto e ridotto, in relazione agli “interessi nazionali”. Agli interessi, sarebbe meglio dire, del grande capitale e della classe dominante.”la Repubblica” di Scalfari lavora assiduamente, dunque, per il compito che la borghesia italiana (innanzitutto quella liberal-socialista) le ha affidato: uccidere il PCI.
Negli anni successivi vi sarà poi, sulle pagine del quotidiano di Scalfari, la mitizzazione di Achille Occhetto, il sostegno pieno alla “Bolognina” e alla trasformazione del PCI in PDS.Dalla fase propedeutica alla “Bolognina”, alla “Bolognina” stessa sino alla fine del PCI, Occhetto e i suoi uomini sono ogni giorno sulle prime pagine de “la Repubblica”. Si passa – innanzitutto tramite le affermazione di Occhetto, il guru costruito da Scalfari – dalla condanna della Rivoluzione d’Ottobre sino alla stessa condanna della “violenza giacobina” e dunque della Rivoluzione Francese. Lo stesso, XX° ed ultimo Congresso del PCI, 31 gennaio 1991, vede “la Repubblica” svolgere il ruolo di “voce” pubblica e di sostegno politico-ideologico della trasformazione del PCI in PDS. Scalfari aveva portato a termine il compito che la borghesia italiana gli aveva assegnato e per ottenere il quale gli aveva consegnato una fortuna economica da investire in strutture, propaganda e grandissimi giornalisti dagli stipendi dorati.
Abbiamo solo ricordato il ruolo storico di Scalfari nell’assassinare il PCI e aprire così, nel nostro Paese, la fase della controrivoluzione “berlusconiana” e populista, che ancora dura. Il ruolo giocato da “la Repubblica” toglie ai dirigenti che guidarono la mutazione genetica e poi lo scioglimento del PCI le loro responsabilità? No, esse rimangono e sono politicamente e socialmente pesantissime, imperdonabili e drammatiche, per come il movimento operaio complessivo italiano ha visto peggiorare di molto le proprie condizioni concrete di vita dopo la scomparsa del PCI. Vogliamo solo rimarcare che se oggi l’intera area dell'”intellettualità” borghese italiana (dagli intellettuali tout-court ai giornalisti, per giungere all’intera classe politica governativa e no) fa il panegirico per Scalfari, un motivo c’è: egli è giustamente vissuto come l’uomo che ha aiutato con violenza il PCI a suicidarsi.