Manifestazioni in solidarietà alle famiglie dei soldati uccisi dal PKK
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Il PKK attacca di nuovo in Turchia. Chi c’è dietro alle violenze?

Ancora sangue a Diyarbakir, nel sud-est della Turchia. Un commando del cosiddetto “Partito dei Lavoratori del Kurdistan” (PKK), organizzazione armata che rivendica il separatismo etnico dei curdi dai turchi ha ucciso in un imboscata 13 soldati di leva, di estrazione sociale operaia e contadina, di una scuola reclute in stanza nella città.

Il PKK: dal maoismo al …PASOK

L’incontro fra PKK e PASOK

Il PKK nasce nel 1974 su iniziativa di Abdullah Öcalan, allora studente di scienze politiche all’Università di Ankara proveniente dal retroterra dell’estrema sinistra di stampo cosiddetto “maoista”. Öcalan dà alla sua organizzazione un carattere militare e fomenta un forte spirito nazionalista curdo. Il PKK rompeva in questo modo la tradizione della sinistra rivoluzionaria del paese che ha sempre ricercato l’unità e la fratellanza fra le etnie che compongono la Turchia: il Partito Comunista di Turchia (TKP) ha peraltro ancora nel 2007 – durante il suo ultimo congresso nazionale – ribadito che la questione etnica è una questione di classe e che i lavoratori curdi e turchi devono restare uniti per fronteggiare sul campo politico ed economico la borghesia sia turca che curda che agisce unita nello sfruttare operai e contadini di ogni etnia e che – soprattutto nelle province del sud-est anatolico – fomenta ancora oggi un sistema semi-feudale guidato dai cosiddetti “Aga” (i latifondisti curdi). Con il tempo il PKK dimostra però la sua vera natura: anzitutto inizia a controllare il narcotraffico della regione mediorientale, comincia un’attività di tratta di esseri umani verso l’Europa e apre, sotto il nome di ERNK (Fronte Nazionale di Liberazione del Kurdistan), un ufficio al 54 di Piazza Vassilis Sofia ad Atene, proprio nelle vicinanze dell’ambasciata USA, in cui i luogotenenti di Öcalan potranno incontrarsi regolarmente fra gli altri con l’ex-ammiraglio greco Andonis Naksakis legato al KIP, la sigla che fino al 1986 indicava i servizi segreti ellenici. In seguito il PKK aprirà ulteriori sedi ad Atene, come quella al 92 di Ipokratus Avenue e gestirà vari fondi finanziari attraverso il conto bancario ETHNICI TRAPEZA-129/350681-92. Il PKK stringe a questo punto rapporti sempre più stretti con partiti della socialdemocrazia europea collusi con l’imperialismo, fra cui spicca il nome del PASOK greco, attualmente al governo: sono infatti noti gli incontri dell’allora capogruppo del PASOK Panaiotis Sgurides (svoltisi sopratutto a Cipro fra il 1994 e il 1997) e del suo collega di Creta Kostas Baduvas con numerosi incaricati di Öcalan.

Guerriglia per la libertà o terrorismo eterodiretto per altri scopi?

E se c’entrassero i servizi deviati?

Le bombe a disposizione del commando terrorista che è costato la vita ai 13 militari di leva turchi nei giorni scorsi non sono ancora in dotazione a nessun esercito NATO e suona perlomeno strano che siano finite nelle mani di una organizzazione, il PKK, che teoricamente si trova sulla lista nera di USA e UE. Il PKK risulta così una delle strutture illegali meglio equipaggiate al mondo e pare godere di buona salute nonostante nell’area si trovino, oltre all’esercito turco, i marines americani. Non è d’altrocanto un mistero che dopo aver abbandonato il “maoismo” il PKK goda di strani favori nelle diplomazie occidentali. Il giornalista Justin Raimondo scriveva già nel 2006 per un caso simile che “i numeri di serie delle armi catturate a dei combattenti del PKK hanno permesso di risalirne la filiera fino a dei carichi statunitensi destinati all’esercito e alla polizia iracheni. In risposta a lamentele turche a questo riguardo, gli Stati Uniti pretendono che queste armi sarebbero state dirottate dagli Iracheni – verosimilmente il governo curdo autonomo”. Versione a cui crede il governo di Ankara, guidato da Erdogan, ma a cui ormai non credono ampie fette dell’esercito turco, soprattuto fra gli ufficiali in rotta con la NATO. Questa tesi parrebbe dimostrata anche delle informazioni raccolte da un altro giornalista, Seymour Hersch, del “The New Yorker”, secondo cui i gioverni di Washington e Tel Aviv aiutano con tutti i mezzi il cosiddetto “Partito Curdo della Vita” (Pejak), attivo nel “liberare” l’ovest dell’Iran dove vivono curdi irredentisti. I legami fra PKK e Pejak sono strettissimi: si tratta di fatto della medesima organizzazione. In molti iniziano a porsi la domanda se il PKK non sia quindi al servizio di progetti neo-coloniali nell’area da parte delle potenze occidentali: il Pentagono americano non fa mistero infatti di auspicare una spartizione della Turchia in più staterelli, fra cui appunto un nuovo “Kurdistan” ricco di risorse naturali e facilmente controllabile geopoliticamente, una sorta di Kosovo-2. Anche in quest’ottica, nel 2003, gli USA occuparono l’Irak con il sostegno dei clan tribali curdi, facendo sprofondare il paese di Saddam Hussein in una guerra civile latente. La conferma alle ricerche giornalistiche arriva poi nel 2010 grazie a Wikileaks, che pubblica documenti militari USA top-secret che definiscono i terroristi del PKK come di “combattenti per la libertà” e confermano la fornitura di bombe all’organizzazione di Öcalan nell’Iraq del nord. Sarebbero stati comprovate anche contatti fra i servizi segreti israeliani e il PKK, ma il premier Erdogan continua ciononostante a firmare accordi economici con Tel Aviv e a bloccare l’avanzamento di quegli ufficiali sgraditi alla NATO. Stando poi al giornale turco “Aydinlik”, la cui redazione è vicina al Partito Comunista Cinese, il PKK sarebbe stato addirittura fondato dietro compenso di 10 milioni di lire turche (di allora) da parte del MIT, ossia i servizi segreti deviati di Ankara, per indebolire la sinistra turca (prassi peraltro in voga nel medesimo periodo negli USA da parte della CIA per frammentare il movimento pacifista).

La strategia della tensione

Stando ad alcuni osservatori si potrebbe verificare in Turchia una situazione simile a quella che gli USA stanno fomentando in altri paesi, dalla Jugoslavia dieci anni fa alla Siria attualmente: sempre più azioni terroristiche da parte dei separatisti porterebbe alla necessità per l’esercito di rispondere in modo massiccio con la repressione e all’esasperazione della popolazione civile. Nel contempo si creerebbero altre brecce nella società, ad esempio grazie alle riforme islamiste e alle politiche anti-sociali del governo Erdogan che già hanno scaldato gli animi degli studenti laicisti e dei sindacati operai, che potrebbero favorire un doppio clima di instabilità. Gettare benzina sul fuoco a quel punto potrebbe essere molto facile e nel caso di una guerra civile o di repressione, gli USA avrebbero una “giustificazione” per intervenire militarmente “a difesa dei diritti umani” e per “evitare dei massacri”. Una strategia della tensione quindi atta a indebolire fortemente il ruolo geopolitico che una Turchia davvero indipendente potrebbe avere nell’area mediorientale e post-sovietica nonché procedere potenzialmente a una balcanizzazione del paese.

La reazione della sinistra in Turchia

“Gli USA vogliono spaccare la Turchia” si legge sullo striscione dei liceali di Ankara in sciopero di solidarietà

Nel 1984 il PKK dichiara guerra al governo di Ankara e sono quasi 40’000 i morti fra civili e militari fino ad oggi. I metodi del PKK sono spesso brutali e atti a distruggere ogni infrastruttura che in qualche modo è legata allo Stato: sono così stati uccisi insegnanti di semplici scuole elementari dei paesini curdi di montagna, sono stati attaccati uffici postali di periferia, assassinandone utenti e funzionari, così come sono stati fatti esplodere autobus carichi di passeggeri, e nemmeno sono stati risparmiati bambini e neonati (come si vede in queste fotografie), il tutto per rivendicare la separazione di una nazione curda dalla Turchia. Tutto ciò ha portato la stragrande maggioranza dei partiti della sinistra attiva in Turchia a distanziarsene risolutamente: non solo i comunisti del TKP, ma anche il piccolo Partito Socialista Operaio di Turchia (TSIP) di ispirazione marxista-leninista e, in modo ancora più netto, i post-maoisti del Partito dei Lavoratori (IP) che hanno inscenato vari presidi per la solidarietà di classe fra le etnie della Turchia. Fra i più ambigui nella critica al PKK troviamo invece il partito laburista EMEP di tendenza “enverista” e il Partito Libertà e Solidarietà (ÖDP), sezione turca della Sinistra Europea, con influenze socialdemocratiche massimaliste e trotzkiste. Il Partito Repubblicano del Popolo CHP (social-liberale) e il Partito della Sinistra Democratica DSP (socialdemocratico) hanno inviato i loro massimi dirigenti alle esequie dei soldati uccisi che si sono trasformate di fatto in manifestazioni anti-governative: più di una volta durante le cerimonie i ministri di Erdogan presenti hanno rischiato aggressioni fisiche da parte dei cittadini che scandivano slogan patriottici “I caduti non muoiono; la patria non si divide!” o “Sono gli USA ad aver ucciso i nostri soldati!”, e che contestano al governo Erdogan, alleato di Washington, di essere troppo tollerante verso le attività separatiste che si ritengono essere fomentate proprio dagli USA.

Manifestazioni in solidarietà alle famiglie dei soldati uccisi dal PKK

“Turchi e curdi sono fratelli, abbasso l’imperialismo!” è invece lo slogan dell’Unione della Gioventù di Turchia (TGB). Organizzazione di massa sorta nel 2006 come fronte unito di tutti quei giovani – fra cui molti liceali – che riconoscendosi negli ideali della “Rivoluzione Kemalista”, si ponevano – al di là delle appartenenze partitiche – contro le ingerenze di Unione Europea (UE) e Stati Uniti d’America (USA) nella politica turca. La TGB è stata promotrice di numerose azioni in solidarietà ai familiari dei giovani soldati caduti nell’imboscata del PKK e negli ultimi tempi sta assumendo una caratteristica sempre più marcatamente anti-imperialista: di recente non solo ha inviato una propria delegazione in Siria in solidarietà con il governo socialista arabo di Assad (contestato da un movimento promosso dalle ambasciate di USA e Francia in loco), ma sta promuovendo la conoscenza del “socialismo di mercato” cinese fra gli studenti turchi in termini entusiastici.

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