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Camicie brune con un po’ di rosso: quando i neo-fascisti si mascherano da socialisti

L’ambiguo movimento italiano “Stato&Potenza” si dichiara il “nuovo nucleo politico e militante, nel tentativo epocale di individuare una nuova teoria del socialismo nel contesto italiano ed europeo del XXI secolo”. Nientemeno! Ma davvero questo movimento è “socialista”? Esso ha piuttosto tratti simili a quelli del fascismo e di coloro che analizzano la realtà solo attraverso lenti geopolitiche senza tenere in considerazione i fattori sociali e di classe. Dopo aver attaccato pochi mesi fa il candidato della sinistra comunista alle presidenziali francesi, Jean-Luc Mélenchon, utilizzando nientemeno che fonti di estrema destra (vedi il nostro articolo), ora “Stato&Potenza” si scaglia contro il sindaco di Napoli Luigi De Magistris reo di aver dato al suo movimento il colore arancione che ricorda le controrivoluzione colorate di Soros, e Antonio Ingroia candidato premier non sufficientemente anti-imperialista per  i loro gusti. Ma non solo di attualità si occupano questi novelli compagni (o camerati?), anche la storia è importante: ecco quindi prendere di mira Josip Broz Tito, leader della Jugoslavia socialista e della lotta antifascista e anti-imperialista dei partigiani balcanici. La sua colpa? Non essersi sottomesso ai Cetnici e aver disobbedito a Stalin. Non a caso, forse, “Stato&Potenza” viene lodato sul blog “Nazione e Rivoluzione” a cura dell’oscuro “Partito Nazionalcomunista italiano”.

Conflitto sociale o conflitto etnico?

Di per sé la notizia – estremamente di nicchia – potrebbe anche non interessare il nostro pubblico di progressisti, se non che da qualche tempo “Stato&Potenza”, guidato fra gli altri da Stefano Bonilauri (che organizza presidi in alcune città italiane imponendo ai propri militanti nientemeno che una camicia bruna a mo’ di divisa) imperversa sul web e sui social-network creando non poca confusione fra i militanti di sinistra e fra gli attivisti anti-imperialisti. Riteniamo per questo che si debba fare almeno un po’ di chiarezza. La geopolitica non è una materia indipendente, essa deve essere inserita nel conflitto sociale, mentre chi evita tutto ciò ragionando esclusivamente in termini etnico-identitari si pone fuori da ogni prospettiva non solo comunista ma anche genericamente di sinistra. Peraltro la condizione di un paese in via di sviluppo e quella di un paese del centro imperialista non sono paragonabile: è quindi inevitabile che il concetto stesso di “patriottismo” assuma quindi valenze differenti.

Un ambiguo “patriottismo”

Vi sono naturalmente posizioni corrette, condivisibili anche da sinistra, in “Stato&Potenza”, come ad esempio la petizione per far uscire l’Italia dalla NATO, o le manifestazioni contro le minacce di guerra ai danni della Siria socialista oppure ancora il lavoro contro l’invasione della Libia popolare da parte dell’Occidente, e tuttavia non dobbiamo lasciarci ingannare: il loro patriottismo anti-atlantico nasconde in realtà uno sciovinismo italiano neanche troppo velato e il loro militarismo in ogni modo esaltato lascia trasparire un’idea nefasta ed errata che il “socialismo” (così come loro lo interpetano) sia una grande caserma piena di virile spirito nazionalista e possibilmente un po’ di spiritualità cristiano-ortodossa. Il tutto condito di qualche citazione fuori contesto di Gennadj Zyuganov, leader del Partito Comunista della Federazione Russa (che in Italia tiene rapporti con il Partito dei Comunisti Italiani), tanto per “giustificarsi” e confondere ulteriormente le acque ai compagni, convincendoli ad adottare metodi di analisi e proposte che sono sostanzialmente lontane dalla tradizione del movimento operaio. “Stato&Potenza” insiste poi sulla necessità della crescita costruendo ad esempio la TAV e le grandi opere speculative pur di rafforzare la “patria”, del ritorno all’energie nucleare, della lotta contro gli ambientalisti, della reintroduzione della leva militare obbligatoria per indottrinare i giovani, ecc. La destra usa mille stratagemmi per esercitare la propria egemonia culturale sulla popolazione, e questo è uno dei tanti.

Tito, un nemico dei fascisti

L’autore dell’articolo contro Tito che ci è saltato all’occhio è Marco Bagozzi. Egli utilizza argomenti apparentemente rivoluzionari e una retorica di sinistra per giustificare un odio profondo verso la Jugoslavia unita. E’ assolutamente chiaro che Tito si può criticare e che il socialismo applicato nella penisola balcanica non era certo esente di errori, ma ciò non deve in nessun modo diventare, come invece è il caso qui, un modo furbo per mascherare il proprio spirito sciovinista contro la popolazione slava che veniva liberata dal fascismo proprio grazie all’impegno dei comunisti titini. Bagozzi fa pure una figura barbina: il suo testo risulta, infatti, essere una versione riveduta e corretta di un articolo già apparso sul quotidiano “Rinascita” (che ha “rubato” il nome alla ex-rivista teorica del PCI) vicina alla destra nazionalista italiana in data 28 Febbraio 2008.

Secondo Bagozzi: “il Maresciallo attuò fin dall’immediato dopoguerra una politica antiserba. Dal punto di vista ideologico, lo jugoslavismo di Tito si manifestava nel ridimensionamento delle prospettive serbe”. Un’assurdità, tanto è vero che l’idea jugoslavista fu difesa proprio dalla Serbia di Slobodan Milosevic fino alla fine degli anni ’90. Un falso storico è pure affermare che ‘gia nel 1945 l’atteggiamento persecutorio verso la popolazione serba fu durissimo. A detta di Tito i serbi avevano accettato con troppa benevolenza l’invasore tedesco’. Queste frasi sono semplicemente figlie della peggior stroriografia revisionista! Non stupisce: “Stato&Potenza” in altre sue uscite stravede per il clero cristiano-ortoddosso, russo, serbo, ecc. Sembra quasi che l’analisi pseudo-storica di Bagozzi voglia per forza imporre la visione dell’ortodossia come unica verità. L’autore lascia poi trapelare le sue simpatie per il nazionalismo italiano quando si lamenta del fatto che i titini slavi volessero annettere tutta l’area della “Venezia Giulia e del litorale fiumano e dalmata” la cui italianità per Bagozzi è sacrosanta. Dal nazionalismo italiano si passa al fascismo quando l’articolo si lamenta per la persecuzione di Tito contri i collaborazionisti, cioè il gruppo serbo dei Cetnici.

Non scordiamoci che, come dice Stefano Zecchinelli, giovane ricercatore, in Jugoslavia “il sistema socio-economico interno di Tito era, come disse Che Guevara: ‘un capitalismo industriale con una ridistribuzione socialista dei profitti’; quindi un’economia semi-socialista che cercava di sperimentare forme di autogoverno operaio (la cosiddetta via jugoslava al socialismo). La stessa cosa, in quel tempo, valeva per altri paesi socialisti: ad esempio Mao Zedong ci provò con la Comune popolare in Cina. Sulle politiche anti-serbe (inesistenti) nell’articolo di ‘Stato&Potenza’ vengono invece riportate solo diffamazioni: la Jugoslavia titina riuscì ad integrare nel suo Stato sociale addirittura le popolazioni rom. Attaccare Tito in questo modo è davvero infamante”.

Non condivide le tesi di “Stato&Potenza” nemmeno Giovanni Apostolou, collaboratore del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ), il quale sostiene come Bagozzi scriva “senza comprendere che il criterio della mera demarcazione e contrapposizione tra nazioni e nazionalità è estraneo a noi come era estraneo al movimento di Liberazione guidato da Tito. Di noi, nel merito, si dice unicamente che sosteniamo e dimostriamo (http://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/foto.htm) che l’irredentismo pan-albanese è stato storicamente appoggiato dal nazifascismo. E questa semplice verità possiamo solo ribadirla ad alta voce”.

“Stato&Potenza” contro la sinistra

Potremmo citare tanti altri testi molto ambigui e faziosi. Ne prendiamo uno in particolare che ci pare esemplificativo. Si tratta di un articolo di Alessandro Lattanzio, in cui dopo aver chiarito che i veri comunisti non devono essere di “sinistra” (!), poiché essa sarebbe solo la posizione nel parlamento borghese,  si passa a criticare il “riformismo” del Partito Comunista Italiano (come partito non sufficientemente rivoluzionario). Ora: criticare il PCI e le sue strategie è legittimo, ma qui è evidente come si tratti solo di una mossa “Kansas City” alla rovescia: si guarda a sinistra per colpire da destra! Distruggere con paroloni apparentemente di sinistra, quanto i comunisti italiani hanno saputo conquistare (nonostante le contraddizioni evidenti) e costruire. Destrutturando il legame culturale (e anche psicologico) con quel passato, si creano le condizioni per spostare l’asse del discorso a destra, in questo caso all’estrema destra!

Tesi paranoica? Forse. Ma leggiamo nel concreto cosa scrive “Stato&Potenza”: “La sinistra, così, passava dal vago sentimento di simpatia per la classe operaia per procedere attraverso vari stadi”. La “vaga simpatia”, in realtà, consisteva in un PCI non solo promotore di un sindacato di massa e di lotta come la CGIL, ma anche di una struttura partitica largamenta composta di operai, molti dei quali godevano – grazie alle sezioni territoriali, alle case del popolo e alle scuole di partito – anche di un’istruzione a cui spesso non avevano potuto accedere. Ma andiamo avanti: i vari stadi cui approda la sinistra, secondo l’articolo, sono: “il pasolinismo, ovvero l’amore per la feccia umana”. Al di là dell’espressione colorita che certo non appartiene alla cultura progressista e democratica, che cosa sia questa “feccia umana”, anche se esplicitamente non viene spiegato, risulta abbastanza chiaro: i gay! L’omofobia è tipica dei fascisti, soprattutto oggi quando anche paesi retti dal marxismo-leninismo, come Cuba o il Vietnam,  stanno fortemente democratizzando la legislazione sui diritti di genere.

L’altro approdo sarebbe “il post-borghesismo pseudo-rivoluzionario dei rampolli della Grande Borghesia”. E anche qui, al di là della retorica pomposa, l’attacco è alla globalità della contestazione del ’68. Nessuno nega che quella stagione sia stata anche influenzata da tendenze di rivoluzionarismo piccolo-borghese, e tuttavia non possiamo dimenticare che il ’68 ha permesso alla società occidentale non solo di scrollarsi di dosso i residui della società autoritaria e patriarcale tipica della tradizione cattolica, ma è stato un movimento di classe che ha saputo unire le lotte operaie (ricordiamo la grande stagione del 1969 italiano) con le istanze democratiche degli studenti di origine proletaria che chiedevano il diritto allo studio e una scuola più connessa con la realtà sociale nella quale vivevano i ceti popolari. L’ultimo approdo sarebbe, infine, il “berlinguerismo”. Anche qui vale il discorso di prima: la segreteria comunista di Enrico Berlinguer è dibattuta anche a sinistra e anche fra gli stessi comunisti, e purtuttavia definire la lotta di Berlinguer per la questione morale della classe politica di allora come “un oltraggioso moralismo” risulta abbastanza avventato. Lo stesso dicasi per l’espressione secondo cui il segretario comunista più amato dopo Togliatti “predicava l’austerità presso il proletariato”. Si tratta di una formulazione fuorviante: l’austerità di Berlinguer invocava un ragionamento globale sul consumismo e, conseguentemente poneva già nel 1977, una riflessione sui modi di produzione insostenibili del capitalismo anche dal punto di vista ambientale. L’odio che in questo articolo traspare nei confronti dei comunisti è evidente, anche solo dai toni non critici ma pieni di astio utilizzati. La medesima superficialità delle argomentazioni ce le potremmo aspettare da movimenti neofascisti, più che da un sito che si autoproclama “socialista”.