L’accordo di cessate il fuoco è una sconfitta per il regime genocida di Israele!

Intervistato dal sito belga di ispirazione marxista InvestigAction, Said Bouamama, analista franco-algerino e autore del “Manuale strategico per la Palestina e il Medio Oriente”, si è espresso sull’accordo di cessate il fuoco che Israele ha dovuto accettare dopo aver compiuto un genocidio ed efferati crimini contro l’umanità. Secondo l’esperto il nuovo presidente statunitense Donald Trump ha giocato un ruolo importante e ha tenuto conto dell’evoluzione dell’opinione pubblica mondiale e dell’opinione pubblica americana in particolare: “il genocidio ha rivelato il vero volto di Israele a molte forze politiche che fino ad ora erano state caute. La mobilitazione degli studenti nei campus degli Stati Uniti e le manifestazioni delle comunità ebraiche non sono fuochi fatui che scompariranno improvvisamente”.

L’analista franco-algerino Said Bouamama.

Tutti gli obiettivi israeliani sono falliti

“Questo accordo in realtà sottolinea un vero fallimento per Israele. Proprio come quello negoziato in Libano. Gli obiettivi di guerra che Netanyahu si era prefissato non sono stati raggiunti. Anche se è stata indebolita, la resistenza a Gaza è ancora molto presente. L’esodo di massa dei palestinesi non ha avuto luogo. I soldati israeliani stanno cominciando a cedere e sempre più di loro si rifiutano di tornare a combattere. Infine, le reazioni di entrambe le parti all’annuncio di questo accordo di cessate il fuoco indicano abbastanza chiaramente chi è il perdente. In Palestina ci sono state scene di giubilo. Ma in Israele l’accordo è stato ampiamente contestato”.

Israele è stato creato per gestire il Medio Oriente, il genocidio lo ha delegittimato!

Molti pensavano però che tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu vi fosse una totale sintonia ideologica e che addirittura il primo ministro israeliano avrebbe avuto ancora più libertà una volta che Trump fosse tornato alla Casa Bianca. Said Bouamama non concorda e spiega che non si deve mai personalizzare troppo le domande: “in effetti, una parte dell’amministrazione statunitense ritiene che Netanyahu e la corrente che rappresenta siano ormai diventati un ostacolo al rafforzamento stesso di Israele. Questo Paese è stato creato e sostenuto per gestire il Medio Oriente. L’interesse strategico degli Stati Uniti è quello di avere uno Stato di Israele stabile in grado di pacificare la regione. Gli Accordi di Abramo negoziati durante il primo mandato di Donald Trump facevano parte di questa logica, puntando alla normalizzazione dei paesi arabi con Israele. Ma il genocidio ha delegittimato la capacità di Israele di stabilizzare la regione. Per far uscire Israele dal suo isolamento, Netanyahu sembra essere un ostacolo nella strategia di Donald Trump. Un’altra parte dell’amministrazione statunitense, d’altronde, ritiene che la violenza sia l’unica soluzione per controllare il Medio Oriente e che sia necessario destabilizzare un certo numero di paesi arabi, compresi gli alleati di Washington”.

Inaspettatamente, è proprio Donald Trump ad aver fatto lo sgambetto a Netanyahu costringendolo a un accordo sfavorevole.

I palestinesi continueranno a lottare ma senza la Siria sarà più complicato

Ma quanto potrà durare questo accordo? Nell’intervista l’analista spiega che non bisogna farsi illusioni: “vi sono molti elementi che spingeranno Israele a violare il cessate il fuoco. Prima di tutto, i palestinesi che hanno vissuto il genocidio non hanno intenzione di rinunciare alla resistenza. Anzi. Poi ci sarà una crescente pressione in Israele da parte dei coloni e dell’estrema destra, ai quali è stato promesso che Hamas e Hezbollah saranno sradicati”. I palestinesi a loro volta dimostreranno, con la dignità che appartiene loro, che non intendono arrendersi: ricostruire è infatti anche dimostrare che questo popolo vive e intende resistere fino alla completa liberazione nazionale: “coloro che hanno vissuto questo genocidio non possono che concludere che hanno bisogno di organizzazioni di resistenza. Questa è una lezione appresa in ogni lotta di liberazione nazionale: più forte è la repressione, più contribuisce a rafforzare le organizzazioni di resistenza. Tuttavia, la resistenza palestinese attraverserà un periodo difficile. Dovrà riorganizzarsi di fronte a un contesto regionale molto più sfavorevole ora, in particolare con la scomparsa del suo alleato siriano”. La Repubblica Araba di Siria guidata dal socialista Bashar al-Assad era infatti un alleato fondamentale della causa palestinese: peccato che i socialisti svizzeri ed europei fossero alleati dei sionisti nel denigrare quell’esperienza crollata pochi mesi fa sotto pressioni degli integralisti sunniti armati dagli USA. L’altro problema a cui i partigiani palestinesi devono far fronte arriva però anche dagli stessi paesi arabi vicini: “attraverso gli aiuti economici necessari per la ricostruzione, le monarchie allineate con gli interessi occidentali cercheranno certamente di negoziare investimenti in cambio dell’abbandono della resistenza” – spiega ancora Bouamama – “Ma questa non è una novità. Il popolo palestinese lo ha già sperimentato e per la stragrande maggioranza non cambierà nulla nel suo rapporto con la resistenza”.

A Gaza la gente celebra il cessate il fuoco come una vittoria sull’invasore sionista.

Il vero nemico dell’imperialismo è la Cina …ma prima c’è ancora l’Iran

Lucidamente Said Bouamama spiega che “Donald Trump ha voluto inviare un messaggio a una serie di attori internazionali. Attraverso la questione palestinese, dimostra di essere in grado di fermare o riavviare i conflitti. E annuncia le sue nuove strategie a livello globale per altri negoziati”. Ma Trump conferma anche che “il conflitto principale degli Stati Uniti riguarda la Cina”, la quale aveva svolto un lavoro diplomatico di grande rilievo nell’unire tutte le fazioni della resistenza palestinese, dagli islamisti di Hamas ai marxisti-leninisti del Fronte Popolare di Liberazione. Questo però – aggiunge Bouamama – “lo si evince anche dalle sue dichiarazioni sulla possibile annessione della Groenlandia e del Canale di Panama. Questi temi sono legati alla Cina: la produzione di terre rare per la Groenlandia e il commercio marittimo per il Canale di Panama”. Tuttavia, l’idea generale di rimodellare il Medio Oriente non è certamente abbandonata: “l’Iran rimane un ostacolo ed è il prossimo obiettivo. La sua destabilizzazione cambierebbe strutturalmente l’equilibrio di potere regionale”. Trump è un mercante, calcolerà bene profitti e perdite di una guerra o di una “rivoluzione colorata” contro il governo rivoluzionario sciita degli Ayatollah. Trump potrebbe infatti anche cercare di calmare le relazioni con l’Iran per isolare la Cina, ma Bouamama è convinto: “la dinamica multipolare è troppo avanzata in paesi come l’Iran, la Russia e la Cina perché possano dissociarsi. È la forza di questa dinamica che determinerà il livello di aggressività degli Stati Uniti”.