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Dal 1948 Nakba ininterrotta per il popolo palestinese

Il 70° anniversario della costituzione dello stato d’Israele (14 maggio 1948) coincide con il 25° anniversario degli accordi di Oslo (13 settembre 1993) che avrebbero dovuto portare celermente alla costituzione di una nazione palestinese sovrana dentro i confini del 1967. Due anniversari che sono in egual modo fondamentali. Il primo perché sancisce la Nakba, la catastrofe, la cacciata dalle case e dai villaggi dei palestinesi cristiani e musulmani che in quei luoghi vivevano da secoli e che da quel 1948 rivendicano il diritto al ritorno. Il secondo perché, nonostante le buone intenzioni di Yasser Arafat e della dirigenza unitaria e multipartitica dell’OLP, gli accordi del ’93 sono stati costantemente violati dagli israeliani fino alla loro totale non applicazione. Per capire la drammaticità della tragedia del ’48 e quella ancor più devastante del ’67, la guerra dei sei giorni, basta leggere “Ritorno ad Haifa”, breve testo di stupenda bellezza e struggente potenza politica di Ghassan Kanafani. Il Mossad nel 1972 decide di uccidere lo scrittore e politico del FPLP a Beirut quando ha soli trentasei anni, i suoi racconti e i suoi romanzi rappresentavano l’arma più potente contro il sionismo, la versione cinematografica di “Uomini sotto il sole”, girata in Siria grazie alla collaborazione del presidente Hafez al Assad, aveva vinto proprio nel ’72 il festival di Cartagine in Tunisia.

Tornado all’oggi, quello che più colpisce chi conosce quella terra e ne ascolta le voci, è la colossale differenza tra le posizioni dei ventenni degli anni ’90 e quelle dei loro figli, i ventenni di oggi, allora l’orizzonte era una Palestina libera e sovrana, oggi, dopo migliaia di arresti di attivisti da parte di Israele, quello della giovane Ahed Tamimi è solo il più recente e clamoroso, e l’insediamento di mezzo milione di coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme est, i giovani non hanno più alcuna speranza che possa nascere una nazione palestinese a fianco di quella israeliana. Per chi crede nella pace è un duro colpo, ma questa tragica situazione è stata propiziata con cinica maestria da Benjamin Netanyahu, da vent’anni protagonista della politica israeliana. La sua aggressione permanente al popolo palestinese e ai suoi diritti ha convinto i giovani palestinesi che gli israeliani non vogliano la convivenza, ma la cacciata e il soffocamento del popolo palestinese. I ventenni palestinesi di oggi non rivendicano una nuova Intifada, nei loro scritti, nei loro blog, nelle loro pagine internet prevale, con grande dignità, la piena consapevolezza che, perdurando la politica israeliana, per loro non c’è futuro. Ironizzano, scherzano amaramente con la realtà, piangono i loro parenti e amici prigionieri nelle carceri israeliane. Il disincanto di una tragedia che pare scuotere poco la società israeliana, in cui la mobilitazione per la pace e l’amicizia coi palestinesi è sempre più difficile, nonostante la lista unitaria di arabo-israeliani, musulmani organizzati e comunisti, al-Qaimah al-Mushtarakah, abbia ottenuto il terzo posto con il 10,5% dei consensi alle ultime parlamentari. Netanyahu e i sionisti hanno convinto i giovani palestinesi dell’esatto contrario sul quale si fondavano gli accordi di Oslo, se venticinque anni fa in Palestina si pensava che due stati potessero coesistere, oggi non lo pensa più nessuno.

La politica sionista di Netanyahu aggredisce i palestinesi e qualsiasi avversario interno bollandolo come antisemita, l’accusa di antisemitismo è poi diventata planetaria e cade addosso a chiunque contesti la politica del governo israeliano. In tutta Europa si muovono sostenitori del sionismo tanto scalmanati e irriflessivi da mostrarsi imbarazzanti. Il dato più incredibile e preoccupante della politica sionista è il voler legare forzatamente e artificialmente la storia, la cultura e la religione ebraica, prima ancora che allo stato di Israele, alla politica sionista dell’attuale governo. In questo contesto le flebili voci – ebraiche e non solo – che raccomandano di distinguere appunto tra religione e cultura ebraica da un lato e stato e governo d’Israele dall’altro sono del tutto inascoltate e addirittura condannate. Poco serve ricordare a questi esagitati che gli stati non siano eterni, il regno dei Longobardi e l’impero degli Aztechi, tanto per far due esempi tra centinaia, non esistono più, mentre le religioni e le culture restano, quindi legare una religione e una cultura al destino di una singola nazione non solo è sbagliato, ma anche antistorico e pericoloso. Tuttavia appare chiaro che la ragionevolezza non è tra le virtù dei sostenitori in Medioriente e nel mondo di Netanyahu.

Solo Cina, Russia, Iran e Venezuela, promotori di un mondo multipolare, contrapposto all’unipolarismo NATO, potranno porre rimedio a questa drammatica situazione. Prima vi riusciranno, più brevi saranno le già interminabili sofferenze per il popolo palestinese.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.