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Elezioni russe: i quattro criminali che simpatizzano per il giovane Navalnij

Quando si parla di Vladimir Putin in Europa, soprattutto ora che si avvicinano le elezioni presidenziali russe, lo si dipinge sempre come un dittatore, mentre i suoi oppositori sarebbero dei sinceri democratici, perché sono amici dell’Occidente.

In realtà il quartetto più agguerrito contro il presidente russo è stato formato, uno dei quattro è mancato nel 2013, da oligarchi arricchitisi ai tempi di Boris Eltsin in ragione del loro contributo al furto delle ricchezze naturali russe a vantaggio dei paesi della NATO. Ricordare chi siano aiuta a capire il concetto di democrazia della stampa occidentale.

Alexandr Smolenskij, nel 1981 a ventisette anni finisce in galera – purtroppo brevemente – per furto di inchiostro e presse stampanti statali con le quali edita bibbie, non certo per devozione, ma per rivenderle. L’anno dopo già libero viene assunto come ingegnere nel settore sportivo, con la perestrojka prima e soprattutto con Eltsin diventa banchiere, fonda la Cassa di Risparmio di Mosca, che nel 1998 fallisce, rubandosi tutti i risparmi dei cittadini che le avevano dato fiducia. Protetto dal potere eltsiniano, fa in tempo a reinventarsi come editore, controllando i quotidiani Kommersant e Novaja Gazeta, entrambi ultra-liberisti e filo-occidentali. Su Novaja Gazeta scriveva Anna Politkovskaja, tragicamente scomparsa, sempre pronta ad alzare la voce contro chi difendeva gli interessi dei russi, ma molto gentile con chi la Russia l’affamava, come Eltsin. Nicolaj Smolenskij, il figlio, ha passaporto inglese e greco, è miliardario come il padre, compra e vende aziende ed è ovviamente un fiero liberale.

Vladimir Gusinskij, espulso da ragazzo dalla scuola petrolchimica, riesce poi a farsi accogliere nell’esercito, diventa dirigente del Komsomol, la gioventù comunista ed è responsabile delle manifestazioni artistiche del Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti di Mosca 1985, con la perestrojka diventa presidente della cooperativa Metal, la fine del socialismo e gli anni di Eltsin lo trasformano in un oligarca miliardario, semplicemente occupandosi di informazione e controllando decine di radio, televisioni e giornali nazionali e locali, diventa presidente del Congresso Ebraico Russo, cittadino spagnolo e israeliano e con generosità diventa azionista di larga parte della stampa israeliana.

Boris Berezovskij, morto per infarto a Londra nel 2013, è un matematico di origini ebraiche che con la perestrojka si mette nel settore automobilistico, occupandosi di compra-vendita con l’estero, importa Mercedes e vende automobili e fuoristrada sovietici. Diventa con Eltsin uno dei primi miliardari del paese, infilando le mani in svariate aziende, nella televisione, nell’editoria, aiutando il suo amico Smolenskij, preferisce tuttavia la politica e con Eltsin è deputato e segretario esecutivo della Comunità degli Stati Indipendenti. Quando arriva Putin capisce che la festa è finita, latrocini e mercimoni diventano impossibili e fugge a Londra da dove prosegue la sua attività di affarista e speculatore internazionale, ma soprattutto di avversario politico di Putin.

Il quarto e più giovane, che è anche il solo ad essere stato in prigione, è Michail Chodorkovskij, diventato ingegnere chimico nel 1986 e – all’epoca – fervente leninista, diventa dirigente del Komsomol, con la perestrojka prima si dedica all’importazione di computer, poi diventa banchiere e fonda la banca Menatep, un’altra di quelle che falliscono facendo sparire i soldi dei risparmiatori come ha fatto il suo amico Smolenskij, riesce però, nel decennio eltsiniano a speculare sull’inflazione accumulando capitali, impadronirsi di svariate industrie estrattive nel settore minerario e della Yucos, società petrolifera, tutto questo gli riesce con facilità, essendo consulente finanziario di Eltsin che lo nomina nel 1992 presidente del Fondo per la promozione degli investimenti nel settore dei combustibili e dell’energia, investimenti ce ne saranno pochi, furti e arricchimenti privati molti. Arrestato per evidenti colpe ai danni dello Stato e per svariate attività corruttive, dopo dieci anni viene rilasciato e va a vivere a Berlino, dove tiene la prima conferenza stampa presso l’ex Checkpoint Charlie, simbolo, a suo dire, della libertà contro il comunismo, e annuncia che si impegnerà per rilascio di prigionieri politici in Russia, vittime ovviamente secondo lui del regime putiniano, per farlo ovviamente utilizza i fondi speculativi e d’investimento di cui è titolare e di cui, con eccessivo rispetto, il governo russo gli ha lasciato la titolarità, quando avrebbe potuto benissimo sottrargliela a compensazione dei furti ai danni dello Stato e dei cittadini da lui commessi.

Aleksej Navalnij, quarantunenne capo del Partito del Progresso, quando la banda dei quattro già imperversava, faceva ancora il pioniere e poi in epoca eltsiniana lo studente delle superiori e dell’università. Nel 2005 fonda il gruppo giovanile Democrazia Alternativa, che riceve ingenti finanziamenti dalla National Endowment for Democracy, una ONG con sede a Washington finanziata principalmente dal Congresso degli Stati Uniti, la quale consiglia al giovane il metodo “Beppe Grillo”, ovvero acquistare qualche azione di grandi compagnie, in modo da trasformarsi in paladino dei cittadini contro le malefatte del potere, in questo modo Navalnij si costruisce la fama di “attivista anticorruzione”. La spregiudicatezza e l’abilità del giovane, sostenuto dal presidente Barak Obama e dall’apparato di potere statunitense, lo avvicinano alla banda dei quattro, però i russi, a un sondaggio del 2017, lo giudicano negativamente, solo un miserevole 16% lo stima. Quando il governo autorizza una manifestazione del suo partito, lui la sposta in una piazza non autorizzata, così può essere arrestato insieme a un po’ di suoi militanti e presentarsi alle telecamere occidentali come martire della libertà, una tesi sposata in pieno da Amnesty International.

Insomma, con buona pace della stampa occidentale, Chodorkovskij, Smolenskij, Gusinskij e Berezovskij hanno rappresentato e rappresentano in modo esemplare il banditismo affaristico e criminale che ai tempi di Eltsin si era impadronito della Russia, mentre Aleksej Navalnij è il personaggio giusto e ben costruito per fare la parte dell’ “oppositore democratico”. Che cosa vogliano è chiarissimo, tornare ai tempi di Eltsin, quando i russi morivano di fame e le materie prime del paese prendevano senza intoppi la via dell’Occidente.

Per questi motivi Vladimir Putin contrasta questi signori e – soprattutto – le cittadine e i cittadini russi, che questi fatti li conoscono, scelgono di votare lui e non certo loro.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.