/

Il Tribunale federale annulla la legge anti-sindacale del Canton Ticino. Vittoria della VPOD e della sinistra.

Nel 2011 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha promulgato una risoluzione concernente l’accesso dei rappresentanti dei sindacati agli stabili dell’amministrazione cantonale. La stessa prevedeva che l’accesso agli stabili amministrativi per svolgervi attività sindacali per principio non era ammesso. Le richieste per eventuali incontri di carattere sindacale con il personale dello Stato affiliato ai sidacati di categoria nelle sale di riunione dell’amministrazione cantonale, su temi specifici dei rapporti di lavoro, dovevano essere preventivamente rivolte alla Cancelleria dello Stato. L’affissione di locandine e la distribuzione di volantini e di giornali periodici erano possibili previa consegna ai servizi di informazione o ai custodi degli stabili dell’amministrazione cantonale, che avrebbero provveduto all’esposizione nei luoghi stabiliti.

Una situazione inaccettabile secondo il Partito Comunista, il quale subito dopo la decisione aveva espresso solidarietà al sindacato della funzione pubblica VPOD parlando di situazione “anticostituzionale perché limita la libertà sindacale (già fortemente ridotta in Svizzera) e svilisce la funzione sociale del sindacato riconosciuta dalla legge”. Nel comunicato di allora dei comunisti si leggeva come ci si trovasse di fronte a una prova generale “di repressione fascista contro i militanti sindacali, che peraltro già sta avvenendo in altri Paesi europei colpiti dalla crisi economica”. Pensare di risolvere i conflitti sociali mediante misure di questo genere “è semplicemente indegno di una società democratica!”.

Sulla stessa linea d’onda anche il Partito Socialista (partito di riferimento della VPOD), che si chiedeva: “ostacolare il contatto tra sindacalisti e lavoratori significa forse che il datore di lavoro pubblico o privato ha qualcosa da nascondere? Si può facilmente pensarlo”. I socialdemocratici, però nel loro comunicato non si limitavano a chiedere al governo di rivedere “questa drastica decisione”, ma andavano oltre in modo estremamente moderato: la misura infatti, stando al PS, “non mira a sanare problematiche acute emerse da situazioni precise legate all’esercizio dell’attività sindacale”.

Il Sindacato svizzero dei servizi pubblici e sociosanitari VPOD dal canto suo aveva impugnato questa regolamentazione dinanzi al Tribunale cantonale amministrativo, che ne ha però respinto il gravame nel 2015. Il Tribunale federale, nella sua deliberazione pubblica di mercoledì 6 settembre 2017, per contro ha accolto il ricorso della VPOD e ha annullato la sentenza del Tribunale cantonale amministrativo, così come la risoluzione del Consiglio di Stato ticinese.

Dalla libertà sindacale sancita dall’art. 28 della Costituzione federale svizzera deriva in effetti il diritto per i sindacalisti di accedere agli stabili dello Stato per intrattenere contatti con i loro affiliati o per poterne reclutare dei nuovi, nel rispetto del funzionamento dell’amministrazione. Per questa ragione, la risoluzione governativa ticinese impugnata si rivela contraria alla libertà sindacale in quanto pone un divieto di principio incompatibile con il citato art. 28 della carta fondamantale della Confederazione e regole d’accesso troppo restrittive.