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La borghesia trasforma in farsa l’identità catalana

Dal 1978 esistono in Spagna 17 Comunità autonome, previste dalla Costituzione dello stesso anno, nel 1979 è approvato lo Statuto della Catalunya, nel 2006 un testo migliorativo è approvato dal Parlamento Catalano con il voto favorevole di 120 membri su 135, quindi le due Camere del parlamento spagnolo lo esaminano, emendano e approvano, il 18 giugno 2006 quel testo è ratificato con un referendum dal 73,9% dei catalani e firmato dal re.

Purtroppo quando Mariano Rajoy, in gioventù franchista, come molti membri del Partito Popolare, va al governo, richiede nel 2010 alla corte costituzionale di riscrivere quattordici articoli e cambiare l’interpretazione di altri ventisette di quello Statuto, di fatto contrapponendosi non solo alle autorità e ai cittadini catalani, ma anche al re di Spagna e ai due rami del parlamento spagnolo. È quell’inizio di una rivendicazione di autonomia che si trasforma in richiesta d’indipendenza, per anni promossa solo da una parte del movimento marxista catalano, quello che ha sempre manifestato estraneità rispetto alla transizione di metà degli anni ’70 dalla dittatura franchista alla democrazia.

Per altro va riconosciuto che il sentimento popolare d’identità catalana è profondo e radicato, in tutti i settori della società estranei a simpatie nostalgiche o fasciste. L’indipendentismo catalano non ha nulla a che vedere con quelli europei di matrice separatistico-razzista, ma piuttosto è animato in parte da un anelito di maggiore uguaglianza e maggiore giustizia sociale e in parte, in particolare nei settori moderati della società, da rivendicazioni economico-fiscali. La lingua e la cultura catalana sono antiche, affondano le radici nel primo regno romano-barbarico, quello di Galla Placidia e Ataulfo del V secolo d.C., nel contrasto con il regno di Castiglia ai tempi della colonizzazione delle Americhe, dalla quale i catalani sono rimasti esclusi, sino alla Diada dell’11 settembre 1714 che segna la resa di Barcellona di fronte all’esercito di Filippo V nel corso della Guerra di Successione Spagnola.

Dal 2010 ad oggi i catalani hanno espresso chiaramente la lontananza da un governo, quello popolare di Madrid, che ha annichilito ogni spazio di dialogo e di espressione della specificità culturale, sociale e linguistica della loro terra. È in questo contesto che la borghesia catalana ha fatto propria, certo con obiettivi diversi, la richiesta di alcuni gruppi marxisti di indipendenza. Occorre non dimenticare che la borghesia catalana impugna la bandiera dell’indipendenza senza deflettere dalle politiche di rigore e di austerità promosse negli ultimi venticinque anni dai governi di Madrid in accordo con l’Unione Europea.

Non solo due consultazioni popolari tenute negli ultimi anni, prima della terza del recente ottobre, ma le stesse elezioni parlamentari catalane hanno espresso un consenso maggioritario alle istanze indipendentiste, sebbene egemonizzate dalle posizioni borghesi.

Qui inizia il tragico tradimento delle istanze indipendentiste. Perché era evidente che l’Unione Europea, la NATO, la Banca Centrale Europea, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale non avrebbero mai riconosciuto la Catalunya indipendente, come al contrario credevano le forze borghesi catalane partendo da un piano di identità progettuale con questi stessi soggetti, in ragione del fatto che tale indipendenza era inutile e priva di senso, se intendeva mantenere gli stessi orientamenti di politica economica e internazionale, essendo la Catalunya già parte delle Spagna che a queste istanze aderisce. L’indipendenza del Kosovo, contro la Serbia è invece stata promossa dalla NATO, dall’Unione Europea e dagli altri soggetti, perché danneggiava un paese non asservito a tali logiche.

La borghesia catalana poteva perseguire l’indipendenza accettando le istanze sociali della sinistra catalana e ponendosi a livello internazionale fuori dall’euro e dalla NATO. Doveva cioè diventare, nel cuore dell’Europa, una fautrice del multipolarismo ispirato dai cinesi e dai russi. Tali obiettivi erano tuttavia estranei alla borghesia catalana e il risultato è stata la tragica farsa di un’indipendenza dichiarata e votata, ma priva di qualsiasi base progettuale e nell’assenza di una qualsiasi strategia internazionale.

Tutto ciò ha offerto al governo Rajoy, sempre più reazionario, di mettere in pratica una repressione che ha come obiettivo quello di una mortificazione identitaria travalicatrice dei fatti realmente occorsi.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.