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I dissidenti cinesi usati dall’Occidente per indebolire il dragone rosso

Il Premio Nobel per la Pace del 2010, il “dissidente” cinese Liu Xiaobo è deceduto il mese scorso a causa di un cancro al fegato. Liu era convinto che solo altri 300 anni di colonialismo occidentale avrebbero garantito il progresso in Cina e il raggiungimento degli standard democratici occidentali. Non c’è dunque da stupirsi di come la sua persona sia stata ricordata e celebrata in Occidente, mentre la sua dipartita è passata quasi del tutto inosservata in Cina.

Ma Liu non è stato né il primo e non sarà di certo l’ultimo personaggio ambiguo usato dall’Occidente per indebolire il continuo progresso cinese. Il recente caso del cittadino cinese naturalizzato statunitense Harry Wu ne è un altro buon esempio.

Anche lui recentemente deceduto, Wu in Occidente ha raggiunto la fama grazie alla pubblicazione del suo passato nelle prigioni cinesi. La qual cosa gli ha permesso di varcare molti palchi di università e talk-show statunitensi, in qualità di autoproclamato difensore dei diritti umani in Cina.

Wu si accorse molto velocemente che poteva fare una bella vita denigrando il proprio Paese. Da un modesto “salario” da attivista no-profit, in poco tempo Wu riuscì ad acquistare un edificio di 3 milioni di dollari a Washington DC per ospitare un museo dedicato alle presunte violazioni dei diritti umani in Cina. Nel museo non mancano le gigantografie di Wu immortalato assieme a personaggi di una ben precisa area politica, quali Margaret Thatcher, Bill Clinton e i membri del Congresso Americano Nancy Pelosi, Chris Smith e Frank Wolf.

Il trucco è semplice: da una parte basta raccogliere l’attenzione dei media occidentali, spesso “morbosi” d’informazioni basate su fatti abilmente disegnati o esagerati, e dall’altra esprimere incondizionata ammirazione per il concetto occidentale di democrazia. A Wu questa “carriera” in Occidente portò un vasto riconoscimento mondiale; anche lui come Liu Xiaobo fu nominato Premio Nobel per la Pace, ma senza vincerlo. A differenza di Liu Xiaobo, Wu rimase al sicuro negli agi garantitogli dall’Occidente, mentre il primo tornò in Cina per sostenere invano il rovesciamento del Partito Comunista Cinese.

Sia a Wu che a Liu non interessavano né i notevoli progressi economici e sociali portati avanti dal Partito Comunista Cinese, i quali hanno permesso di risollevare dalla soglia di povertà oltre 700 milioni di cittadini in 25 anni, né il grande consenso popolare attorno al PCC, del quale, secondo un recente studio del Pew Research Center – centro di ricerca americano non di certo accusabile di essere filo-comunista – l’80% della popolazione cinese ne approva in modo soddisfacente l’operato.

Possano Liu Xiaobo e Harry Wu riposare in pace, ma è difficile immaginare per quanto tempo saranno ricordati in Occidente: probabilmente saranno presto sostituiti con altri “dissidenti”. Quello che è certo è che sicuramente essi sono già stati dimenticati in Cina.