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La “Sinistra Europea”: un progetto che non fa l’unanimità

Il 3-5 dicembre 2010 a Parigi – proprio in concomitanza (guarda caso!) con il Forum Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai che si svolgeva a Johannesburg in Sud Africa – si è tenuto il terzo Congresso del Partito della Sinistra Europea (SE), il partito che, a suo dire, avrebbe dovuto unire i comunisti e la sinistra socialista dei vari paesi europei. Ma l’obiettivo storico di questa sigla, a quanto pare, non è stato raggiunto: il suo fondatore, Fausto Bertinotti, che oggi ha restituito la tessera comunista, ha infatti costruito la Sinistra Europea dandole non solo un’impostazione eurocentrica, ma pure tendenzialmente socialdemocratica, operando in maniera tale che i partiti comunisti più influenti, più radicati sul territorio e spesso anche più legati all’esperienza rivoluzionaria venissero emarginati dal sodalizio.

Il risultato è stato quello di escludere di fatto i due maggiori partiti comunisti europei, quello di Grecia e di Portogallo, entrambi con consensi elettorali intorno al 10%, così come i comunisti russi, terza forza elettorale del Paese. Vi hanno aderito invece partiti europeisti ideologicamente molto compositi e per certi versi anche un po’ confusi circa il progetto politico da perseguire, come Rifondazione Comunista (PRC) in Italia, il Partito Svizzero del Lavoro (PSdL), il Partito Libertà e Solidarietà (ÖDP) di Turchia (con tendenze trockiste), i Partiti Comunisti Vallone e Fiammingo, il Partito della LINKE tedesca (con alle spalle un’esperienza di governo a Berlino non proprio edificante), Il Synaspismos greco (un’alleanza di sinistra piuttosto ondivaga) e il Partito Comunista Francese (PCF) in piena “mutation”.

Si tratta di partiti poco profilati, senza quasi più una reale connotazione di classe e ormai lontani da un’ottica di trasformazione anti-capitalista della società. Una debolezza strutturale, già evidenziata al momento della fondazione, dal comunista italiano Fausto Sorini che scriveva già allora: “solo sei degli undici partiti firmatari dell’appello di Berlino – sugli oltre sessanta che avrebbero potuto essere coinvolti – annunciano ad Atene la convocazione di un “congresso fondativo” che potrebbe svolgersi a Roma l’8-9 maggio 2004”. Debolezza ancora maggiore se si pensa che la nascita della SE più che a motivazioni politiche, pare basarsi su volontà finanziarie, come diceva già nel 2004 lo stesso Sorini: “Il tema del partito europeo sorge, sul piano tecnico-istituzionale, con l’approvazione del Parlamento europeo, nel febbraio 2003, di un regolamento sullo Statuto e finanziamento dei partiti politici europei, in attuazione di alcuni articoli dei Trattati di Maastricht e di Nizza relativi al ruolo dei partiti politici nell’UE”. Si sta parlando, per la cronaca, di milioni di euro…

La SE accoglie in sé un partito filo-americano!

Di recente, poi, la SE per dare un segnale di rottura con il Movimento Comunista Internazionale, ha addirittura accolto fra i suoi membri l’ex-Partito dei “Comunisti” Bielorussi (che si è subito sbarazzato dell’impegnativo appellativo): una struttura (avversaria del Partito Comunista Bielorusso) filo-atlantica e che ha ordito contro il governo popolare e sociale di Lukashenko nella ex-repubblica sovietica inviando il proprio segretario a Washington per chiedere nientemeno che un intervento americano nel suo paese. Questa di accogliere un partito filo-imperialista nei suoi ranghi è stata una delle ultime gocce in un vaso già traboccante: grossi segnali di malcontento si stanno sentendo un po’ ovunque fra la base comunista dei vari partiti.

Il “terremoto” dei comunisti svizzeri

Il Partito Comunista Greco (KKE) ha invitato ad esempio, pubblicamente, pochi giorni fa tutti i comunisti ad abbandonare la SE (leggi la lettera). Ma se questa posizione era nota e, per certi versi, anche attesa, ha suscitato molto clamore la posizione espressa da un folto numero di dirigenti e militanti del Partito Svizzero del Lavoro (PSdL): da questo partito minoritario, che ha saputo negli ultimi decenni esprimere una dirigenza assolutamente scialba, e che fino all’ultimo ha voluto difendere idealisticamente l’adesione della Svizzera all’Unione Europea (UE) senza volersi confrontare con gli evidenti contraccolpi sociali ai danni dei lavoratori che Bruxelles imponeva, è esplosa la rabbia dei giovani.

Lanciato da Leonardo Schmid, venticinquenne ex-segretario esecutivo del PSdL, l’appello ai comunisti svizzeri per spingere il proprio partito a non collaborare più attivamente nella SE ha suscitato in breve tempo l’interesse di una cinquantina di quadri giovanili dell’organizzazione e di vari dirigenti sia cantonali sia nazionali, che hanno firmato l’appello scatenando le ire ai piani alti del Partito, che ormai non possono più nascondere come nel Partito si stia sviluppando un ampio dibattito politico fra una “linea rossa” comunista e una “linea nera” socialdemocratica che vuole tenere il PSdL un piccolo partito ininfluente che faccia da spalla al Partito Socialista.

In realtà i fermenti nel PSdL erano evidenti da tempo: nel 2007 la sezione del Canton Ticino cambia nome in Partito Comunista proprio quando a Losanna il PSdL stava sperimentando ipotesi liquidazioniste per creare un partito di “sinistra plurale” non più comunista; nel 2008 il Congresso nazionale a sorpresa ribalta la posizione dei vertici sull’UE, rendendo il partito anti-europeista, e una conferenza d’organizzazione l’anno successivo rende evidente la spaccatura fra una vecchia guardia ritenuta dai critici come “fortemente opportunista ed elettoralista”, che risulta guidata dal presidente nazionale Norberto Crivelli e dall’ex-deputato Jean Spielmann, e da un’ala giovane cresciuta soprattutto grazie agli insegnamenti del Ticino e fortemente legata al marxismo che fa riferimento non solo al già citato Schmid, ma pure al ventenne membro della Direzione Nazionale Cyrille Baumann e al ventottenne segretario ticinese Massimiliano Ay.

Basta subalternità all’Unione Europea!

Il PSdL ci spiega Leonardo Schmid “non ha realmente discusso democraticamente il documento politico con cui la SE si riuniva a Congresso”: non è stato possibile quindi elaborare una posizione comune da portare a Parigi nei giorni scorsi; mal si capisce dunque quale linea politica abbiano difeso i delegati svizzeri in sede di dibattito. In effetti nell’appello si legge: “La SE è un partito legato a doppia mandato con l’UE. Le proposte di cambiamento radicale sbandierate dalla SE non potranno essere realizzate, fintanto che ci sarà una sudditanza nei confronti della Unione Europea. A livello contenutistico il documento non rispecchia la posizione che è stata espressa in due occasioni dalle istanze del PSdL al riguardo dell’UE. In particolar modo quando nel documento si afferma, più o meno apertamente, che per i paesi d’Europa non c’è futuro all’infuori dell’UE. Al contrario, nel PSdL si sta scegliendo l’opposizione all’adesione della Svizzera nell’UE”. Per questo i firmatari dell’appello, propongono “che il PSdL non si impegni più nella costruzione della SE. Le priorità a livello internazionale dovranno piuttosto tendere allo sviluppo di relazioni, in Europa e nel mondo, con i partiti comunisti che non hanno abbandonato i principi fondamentali del movimento comunista internazionale”. Implicito appare qui il riferimento al KKE, protagonista delle lotte sociali in Grecia.

La questione della subalternità della SE all’UE non è solo relativa alle scelte politiche dei suoi vertici, ma riguarda proprio un elemento strutturale dei partiti europei. Appare in questo senso quantomeno bizzarro per una realtà che si vuole democratica che sia il Parlamento europeo, finanziatore dell’operazione, che approva l’esistenza dei partiti europei come la SE, che giudica se il loro statuto è conforme o meno coi principi liberali su cui si fonda l’UE, e che può quindi al limite deciderne lo scioglimento, qualora essi non “rispettino le proposte fondamentali dell’Unione riguardo libertà, democrazia, diritti umani, libertà fondamentali e norme di legge… in accordo con il Trattato e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE”. Una situazione che limita di per sé l’indipendenza di classe che dovrebbe contraddistinguere la sinistra di trasformazione sociale.

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