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Perché la Germania salva l’Irlanda

1. Salvataggio, ma di chi? Siamo al secondo salvataggio in Europa. Al secondo salvataggio delle banche tedesche. Come già nel caso della Grecia, chi sicuramente guadagna dalla soluzione della crisi irlandese, infatti, sono i creditori. Che vedono scongiurato il rischio di non riavere indietro i soldi incautamente prestati alle banche e allo Stato irlandese. E anche adesso, come nel caso della Grecia, tra i primi creditori ci sono le banche tedesche: allora in compagnia delle banche francesi, adesso assieme alle banche inglesi. Tra parentesi, è questo il motivo per cui in questo caso anche la Gran Bretagna si è detta disponibile a partecipare al salvataggio. Considerando che l’esposizione del Regno Unito sull’Irlanda è di 188 miliardi di euro (quello tedesco “appena” di 184), il meno che si possa dire è che si tratta di un aiuto interessato.

2. I cittadini pagano la crisi delle banche. Nel caso del paziente irlandese, quello che è avvenuto è chiarissimo: 1) lo Stato ha salvato le due maggiori banche del Paese, travolte dalla crisi immobiliare, con iniezioni di capitale per decine di miliardi di euro; 2) questo ha fatto esplodere il deficit pubblico, che è schizzato al 32% su base annua (il limite di Maastricht è al 3%), imprimendo una tremenda accelerazione al debito pubblico; 3) contemporaneamente, sono state assunte misure di austerity che hanno precipitato il Paese in deflazione; 4) la crisi bancaria si è approfondita anche per questo motivo: e ora servono altri soldi, che lo Stato irlandese non è in grado di pagare; 5) di qui la necessità di un soccorso internazionale (stimato in circa 95 miliardi di euro, un terzo dei quali destinato alle banche), a fronte di una severissima manovra di bilancio su 4 anni (tagli alla spesa pubblica e ai servizi sociali per 15 miliardi di euro, 25.000 impiegati pubblici a casa, neoassunti con uno stipendio del 10% inferiore e così via). Conclusione: il governo irlandese ha dato i soldi alle banche e i cittadini irlandesi pagano il conto.

3. Ma le tasse alle imprese restano bassissime. La tassazione sulle imprese, invece, agli attuali livelli: ossia al 12,5%. Il motivo è presto detto: precisamente su questa tassazione irrisoria delle imprese si è basato il successo della “tigre celtica”, per diversi anni indicato come modello anche per noi. Un gran bel modello: di fatto, l’Irlanda faceva dumping fiscale, attraendo le società europee intenzionate a pagare meno tasse che nel proprio Paese. Proprio questa possibilità di fare arbitraggio fiscale è una delle cause principali degli attuali problemi dell’Europa: perché senza tassazione uniforme non può darsi politica economica comune, e senza politica economica comune la moneta unica non basta, e in caso di crisi può anzi diventare un peso insostenibile per chi l’ha adottata. Ma a quanto pare il dumping fiscale non ha portato fortuna neppure all’Irlanda: la bolla immobiliare che è scoppiata rovinosamente travolgendo le banche, e ora anche lo Stato, è stata alimentata proprio dagli investimenti delle imprese straniere.

4. Stress test: un fallimento. “Allied Irish Bank e Bank of Ireland hanno i requisiti patrimoniali richiesti e non hanno bisogno di ulteriori aumenti di capitale”: così la Banca centrale irlandese, lo scorso 23 luglio, annunciava i risultati degli stress test condotti a luglio sulle banche europee, che avevano promosso le banche irlandesi. Per la verità, che quei test fossero taroccati l’avevano sospettato in molti: soprattutto quando si era appreso che i titoli di Stato posseduti dalle banche non erano considerati un fattore di rischio (e questo dopo la crisi greca!). Se i test si rifacessero dando il giusto peso a questa variabile, ben pochi grandi banchieri in Europa dormirebbero sonni tranquilli.

5. Uno spettro si aggira per l’Europa: una Germania irresponsabile. La Germania da questa crisi guadagna tre volte. 1) Le sue banche sovraesposte su titoli di Stato irlandesi ora sono al sicuro. 2) Le attuali difficoltà europee (aggravate dalle dichiarazioni terroristiche della stessa Merkel) fanno crollare l’euro rispetto al dollaro, spingendo le esportazioni tedesche. 3) Infine, i titoli di Stato tedeschi sono più che mai un rifugio sicuro e possono quindi essere venduti anche a fronte di rendimenti risibili. È quindi decisamente singolare che il governo tedesco si erga a giudice degli altri Paesi “meno virtuosi” (gli stessi che comprando prodotti tedeschi ne sostengono l’economia: non si ricorderà mai abbastanza che il commercio estero dei Paesi dell’Unione Europea è per la sua quota maggiore interno alla stessa Unione). L’impressione è che, con la sua arroganza e i suoi ricatti, l’establishment tedesco stia tagliando il ramo su cui è (comodamente) seduto: ossia l’euro.

6. Immaginiamo che… È un gioco molto pericoloso. Che potrebbe ritorcersi proprio contro la stessa Germania. Facciamo un’ipotesi. Immaginiamo che un bel giorno uno o più Paesi dell’Unione (quelli fuori standard sono ormai più della metà) decidessero di uscirne a causa dell’insostenibilità della situazione economica, tra deficit alle stelle e manovre economiche insostenibili imposte dall’Unione. Cosa succederebbe? Che questi Paesi dovrebbero abbandonare la moneta unica. Se fossero più d’uno, probabilmente potrebbero costruire una moneta comune agganciata all’euro con un sistema di cambi flessibili. Ma dovrebbero comunque svalutare pesantemente la loro moneta, dando luogo ad una svalutazione competitiva che potrebbe colpire severamente l’export tedesco. Ovviamente la speculazione aggredirebbe questi Stati, ormai privi dello scudo dell’euro. Quindi sarebbero impossibilitati ad onorare le loro obbligazioni, ossia a pagare per intero il loro debito, e dovrebbero ristrutturarlo e riscadenzarlo. Domanda impertinente: per quante ore resterebbe in piedi in tal caso il sistema bancario tedesco?

 Vladimiro Giacché

su il Fatto Quotidiano del 27/11/2010

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