Le politiche fiscali: vessatrici imperterrite della protezione sociale?

Proponiamo di seguito un articolo apparso sull’edizione di maggio 2016 del quadrimestrale d’approfondimento marxista #politicanuova. Le tematiche che vi sono trattate hanno infatti una piena attualità, dato che il 12 febbraio 2017 gli svizzeri saranno chiamati alle urne per esprimersi a proposito della Legge sulla Riforma III dell’imposizione delle imprese.


 

La fine del secondo conflitto mondiale sancisce lo stato sociale come pilastro fondamentale di ogni nazione dell’Europa occidentale. La sua creazione può essere storicamente considerata come una contromisura politica di fronte all’aumento delle proteste operaie contro l’indigenza di massa causata da un processo d’industrializzazione senza regole (1). Attraverso molteplici forme istituzionalizzate di copertura, lo stato sociale ha la funzione di garantire alla popolazione protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale. Lo stato sociale odierno è quindi per lo più un’eredità della fase di crescita del dopoguerra. Per quanto soggetto a numerose controversie, tale sistema riveste un ruolo cardine nella solidarietà, nella protezione e nella parziale ridistribuzione della ricchezza fra cittadine e cittadini. Esso possiede infatti un’importanza cruciale nella coesione sociale (2). Oggi, tuttavia, questa istituzione è stata profondamente messa in discussione.

In queste pagine si analizza l’evoluzione della protezione sociale, con un’attenzione particolare sul legame diretto e per lo più occulto che sussiste fra riforme fiscali e riforme sociali. L’invito è altresì quello di riflettere sulle cause alla base del lento e progressivo indebolimento – per non dire smantellamento – dello stato sociale elvetico.

La sicurezza dell’incertezza

L'autore, Rocco Brignoli, è laureando in Sociologia presso l'Università di Friborgo
L’autore, Rocco Brignoli, è laureando in Sociologia presso l’Università di Friborgo

Sebbene lo stato sociale ricopra un ruolo fondamentale nella protezione di ogni persona e di conseguenza nella stabilità politica e sociale di ogni nazione, tale istituzione è oggigiorno messa in discussione. Il monopolio statale della protezione sociale sembra ormai essere un lontano ricordo. Effettivamente, anche se con differenze sostanziali nelle diverse nazioni, non si può che constatare un’ingerenza sempre maggiore degli attori privati nell’assistenza alla popolazione bisognosa. Nell’era del neo-liberismo sovrano, la protezione provvidenziale europea si sta gradualmente allineando al modello statunitense, ed è così che si può assistere alla rievocazione di una solidarietà d’altri tempi basata sul modello caritatevole.

L’incertezza del futuro sembra ormai essere la sola sicurezza che rimane a ogni individuo in un’Europa in balia di una situazione socio-economica marcata dalla crisi. Di fronte a questa precaria situazione, lo stato e la politica si dimostrano per lo più inadatti nell’ottica di trovare delle soluzioni concrete a sostegno della popolazione; questi soggetti, in tal senso, si limitano ad imputare le cause di tali contraddizioni ai mutamenti della società.

Anziani-migranti-truffatori: una crisi ben più complessa

Negli ultimi decenni, in conseguenza delle nuove logiche sociali ed economiche, i dispositivi di protezione sociale europei hanno subito un’involuzione che ne ha sempre più indebolito l’efficacia. La solidità finanziaria di questi sistemi di protezione è sempre meno tale e le innumerevoli ristrutturazioni che si susseguono a ritmo estenuante si riducono essenzialmente alla compressione delle prestazioni. Queste manovre, tra le altre cose, contribuiscono a rendere maggiormente precaria la condizione delle fasce vulnerabili della popolazione. E tale tendenza non risparmia neanche la Svizzera.

Invecchiamento della popolazione, aumento della disoccupazione, disoccupazione giovanile, aumento delle richieste di assistenza, flussi migratori, metamorfosi del concetto di famiglia, esplosione dei costi della sanità, abuso delle prestazioni, sono alcune delle cause che vengono principalmente associate, dai media e dalla politica, alla crisi dello stato sociale. È ormai lecito domandarsi se lo stato sociale odierno sia ancora realmente adeguato per fronteggiare i numerosi rischi sociali che affliggono la popolazione.

A questo interrogativo non si può rispondere in termini semplicistici: l’analisi del sistema di protezione sociale ingloba molteplici campi di analisi (economici, politici, sociali, geopolitici, etici, etc.). A livello accademico vi è quantomeno unanimità nel constatare il vero e proprio immobilismo politico-istituzionale di fronte alla necessità di radicali riforme del sistema di protezione sociale: e si tenga conto che stiamo parlando di trasformazioni fondamentali nell’ottica di far fronte alle nuove esigenze della popolazione.

In una delle sue opere più celebri, il sociologo francese R. Castel, si mostra perentorio al riguardo: la collettività si trova dinanzi a un bivio, «accettare che un’intera società sia sottomessa alle esigenze dell’economia, oppure edificare uno stato sociale che sia in grado di far fronte alle nuove sfide». Secondo lo stesso autore il consenso alla prima opzione non può essere escluso ma va aggiunto che ciò «porterebbe al crollo della società salariale, ovvero a quell’inedito assemblaggio di lavoro e di protezioni che tanto è costato prima che venisse costituito»(3).

Un sistema economico antisociale

Lo studio dell’attuale crisi dello stato sociale deve essere focalizzato in primis sul mutamento della struttura economica successivo alla crescita eccezionale del dopoguerra. Infatti le trasformazioni avvenute nella società postindustriale (4) hanno esercitato ed esercitano tuttora una pressione enorme sullo stato sociale (5). Esse hanno peraltro luogo in un mondo globalizzato, dove l’integrazione internazionale dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali rafforza l’interdipendenza delle economie, indebolendo così la sfera d’influenza degli Stati nel controllo dell’economia stessa (6). La situazione economica globale genera altresì un clima di competizione estrema che, a sua volta, è la causa principale dell’esasperata concorrenza fiscale internazionale e nazionale. Secondo il sociologo belga D. Vrancken (7), le battaglie intranazionali e internazionali nell’accaparrarsi i capitali e le aziende stanno inevitabilmente ridimensionando lo stato sociale, il quale, al contempo, viene additato come responsabile principale della crisi delle finanze pubbliche e del rallentamento della crescita economica.

La politica delle “casse vuote”

Per quel che concerne la Svizzera, il sistema di assicurazione sociale (AVS, AI, AD, etc.) si finanzia soprattutto attraverso le contribuzioni della popolazione attiva e, nel caso dei lavoratori salariati, grazie alle rispettive contribuzioni del datore di lavoro. Tuttavia si tende sovente a ignorare che la Confederazione partecipa in modo rilevante al finanziamento di tali assicurazioni. Ad esempio, per quel che concerne l’AVS, la Confederazione, attraverso le imposte federali, emette un finanziamento (corrispondente al 19,55% del budget)(8). Inoltre, alcuni sistemi di protezione sociale, quali ad esempio l’assistenza, esistono esclusivamente grazie all’imposizione fiscale. E va sottolineato, a tal proposito, che in futuro, nel finanziamento del sistema previdenziale elvetico, l’imposizione fiscale giocherà un ruolo sempre più preponderante: ciò anche e soprattutto in ragione dei mutamenti legati alla globalizzazione economica, la quale porta con sé l’affermarsi di un mercato del lavoro maggiormente delocalizzato, deregolamentato e automatizzato.

Pure in Svizzera la lettura della crisi dello stato sociale passa quindi, forzatamente, dal sistema d’imposizione fiscale. Secondo lo storico svizzero S. Guex il sistema fiscale e le sue continue riforme costituiscono una fonte primordiale delle molteplici problematiche che affliggono lo stato sociale elvetico (9). Sempre secondo costui, la Confederazione ha adottato una vera e propria politica delle “casse vuote”, a cui si lega la tendenza all’affermarsi di uno “Stato povero” che, evitando la bancarotta, promuove permanentemente e volontariamente una situazione finanziaria instabile. Secondo Guex, negli ultimi decenni le istituzioni elvetiche si sarebbero altresì adoperate nel favorire i deficit di bilancio tendendo a stabilizzare il livello della pressione fiscale. Al contempo, rimettendo in discussione la struttura stessa del carico fiscale, negli ultimi decenni si sarebbero favoriti i detentori di capitali a discapito della maggioranza dei salariati (10).

Le politiche fiscali sotto la lente d’ingrandimento

Uno studio promosso dall’Associazione romanda e ticinese delle istituzioni di azione sociale (ARTIAS)(11) – frutto di un’attenta lettura di migliaia di pagine di messaggi del Consiglio federale, di deliberazioni parlamentari e di vari dossier – ha permesso di comparare il ritmo, i costi e il contenuto delle principali riforme fiscali e sociali messe in atto negli ultimi decenni a livello federale. Lo studio ha evidenziato chiaramente l’esistenza di una correlazione diretta fra diminuzione delle ricette fiscali federali e misure di risparmio realizzate nell’ambito della protezione sociale. Interessandosi in particolar modo alla concordanza temporale che lega le riforme fiscali e sociali, l’ARTIAS ha così posto sotto la lente d’ingrandimento il ritmo, i costi e i contenuti di tali riforme.

Secondo M. Kurth, redattrice dello studio, nessuno sarebbe in grado di quantificare i costi reali e i benefici delle varie riforme in ambito sociale – aventi tutte, come denominatore comune, il deterioramento delle loro prestazioni. In altre parole, secondo lo studio in questione, non ci sarebbe una vera e propria verifica degli effetti di tali riforme sui vari dispositivi sociali rispetto ai quali si è voluto intervenire per contenere i costi. Ad esempio, per quel che concerne l’assicurazione invalidità, nel giugno del 2004 è entrata in vigore la quarta revisione dell’assicurazione. Il messaggio concernente la quinta revisione è datato giugno 2005 e nel 2008 la riforma era già entrata in atto. Senza poterne valutare realmente gli effetti, nel 2009 il Consiglio federale aveva elaborato il messaggio per la sesta revisione (6a). Rispettivamente, le riforme fiscali, volute dal Consiglio federale e dal parlamento per ostacolare al minimo l’attività economica, hanno seguito una simile tempistica (12).

Chi ci perde e chi ci guadagna?

Secondo M. Kurth, il legame esistente fra riforme fiscali e sociali spiegherebbe una parte importante del costante deficit della Confederazione, generato per mezzo di “regali” fiscali e grazie alla diminuzione delle entrate che vi sono corrispondenti. E, a questo proposito, non è un segreto che le cerchie dominanti dell’economia e della politica sono intenzionate a mantenere l’imposizione fiscale la più moderata possibile. La fiscalità svizzera segue inoltre una tendenza generale nella quale la progressiva sostituzione del principio dell’imposta diretta in funzione della capacità contributiva viene ad essere compensata con tassi e contribuzioni a tutti i livelli di reddito (13). Assottigliamento dell’imposizione, aumento della tassazione e lento e progressivo indebolimento dello stato sociale; benché nessuno possa provare con certezza i benefici reali per l’intera collettività delle diminuzioni fiscali, esse si susseguono a un ritmo estenuante. L’evoluzione del mercato del lavoro e della struttura demografica contribuiscono altresì a rimettere in discussione le forme classiche dell’intervento pubblico elvetico (14). Preoccupante è inoltre il fatto che le varie forme di lavoro precario non garantiscano più delle contribuzioni stabili al sistema d’assicurazione sociale elvetico quando, al contempo, la percentuale di popolazione non attiva per diritto acquisito è sempre più elevata.

Anche in Svizzera il funzionamento dello stato sociale e, di conseguenza, il suo finanziamento, sono letteralmente in panne. Tale situazione finanziaria non permette più di sostenere veramente l’attuale sistema né tantomeno consente di affrontare le radicali riforme che sarebbero indispensabili. Lo stato sociale si mostra incapace di far fronte in modo adeguato ai nuovi bisogni di una società in metamorfosi, con una popolazione sempre più vulnerabile.

Conclusione

Attualmente l’ambito relativo alla fiscalità si muove secondo una dinamica sostanzialmente contrapposta a quella dello Stato sociale, sia promuovendone indirettamente un lento ma graduale smantellamento, sia impedendo il necessario adeguamento di tal istituzione ai parametri della nuova fase storica. È necessario invertire la rotta: lo Stato sociale, in un prossimo futuro caratterizzato da incertezze materiali consistenti, sarà ancora chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell’ottica di garantire la coesione sociale, ed è per ciò che occorre chinarsi in modo prioritario sulla sua rivitalizzazione. D’altro canto appare altrettanto ovvio come uno Stato sociale forte e al passo coi tempi non possa essere visto come la soluzione a tutte le contraddizioni socio-economiche: occorre, in tal senso, agire alla radice e, concretamente, creare le condizioni per la definizione di un mercato del lavoro che sia in grado di offrire retribuzioni proporzionate alle necessità degli individui e delle famiglie.

Note:

(1) P. Y. Greber, “Protection sociale”, in J.-P. Fragniere, R. Girod, Dictionnaire suisse de politiques sociales, Éditions Réalités sociales, Lausanne, 1998, p. 170.

(2) R. Castel, Les métamorphoses de la question sociale. Une chronique du salariat, Librairie Arthème Fayard, Paris, 1995.

(3) Ivi, p. 22 (traduzione libera).

(4) F. Bertolozzi, G. Bonoli e B. Gay-des-Combes, La réforme de l’État social en Suisse. Vieillissement, emploi, conflit travail-famille, Presses polytechniques et universitaires romandes, Lausanne, 2005, p. 37.

(5) R. Castel, Les métamorphoses de la question sociale, cit.

(6) F.-X. Merrien, “L’État-providence” in F. Bertolozzi, G. Bonoli e B. Gay-des-Combes, La réforme de l’État social en Suisse. Vieillissement, emploi, conflit travail- famille, Presses polytechniques et universitaires romandes, Lausanne, 2005, p. 37

(7) D. Vrancken, Social barbare, Éditions Couleur livres, Charleroi, 2010.

(8) Si veda il sito dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS), http://goo.gl/ qN3mYA (consultato il 31.01.2016).

(9) S. Guex, “‘La politique des caisses vides’. État, finances publiques et mondialisation”, Actes de la recherche en sciences sociales, n° 146-147, 2003.

(10) Ivi, p. 58.

(11) M. Kurth, “Qui perd, qui gagne? 20 ans de réformes fiscales, 20 ans de réformes des assurances sociales”, ARTIAS, Les dossiers du mois, novembre 2011.

(12) Ivi, p. 4. Per avere più esemplificazioni e spiegazioni a riguardo, rinviamo allo studio ARTIAS liberamente consultabile in francese: http://www.artias.ch

(13) M. Kurth, “Qui perd, qui gagne? 20 ans de réformes fiscales, 20 ans de réformes des assurances sociales”, cit., p. 4.

(14) F. Bertolozzi, G. Bonoli e B. Gay-des-Combes, La réforme de l’État social en Suisse. cit., p. 11.