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La lisca cubana

Cuba non lascia indifferenti e da ormai sessant’anni suscita passioni, dall’esaltazione rivoluzionaria al disprezzo viscerale. Pochi, pochissimi i commenti che mi sono veramente parsi oggettivi pubblicati a seguito della recente scomparsa di Fidel Castro. Ampio spazio è stato dato una volta ancora all’acredine e all’ostilità che da sempre animano analisti politici (o che si ritengono tali) e numerosi media, inclusi quelli nostrani e pubblici, nei confronti dell’esperienza cubana. Certo, parecchie critiche sono legittime. Gli stessi alti responsabili politici che ho avuto occasione di incontrare riconoscono gli errori commessi, in particolare nell’ambito economico e agricolo. Vero anche che talune libertà, come quella di espressione sono assai limitate e che vi sono stati momenti di repressione. Ma il giudizio non può non tenere conto del contesto storico, culturale e strategico dell’isola. La rivoluzione ha però avuto il merito di cacciare un tiranno che aveva trasformato il suo paese in un casinò e in un bordello a disposizione di ricchi americani, lasciando la sua popolazione nell’ignoranza e nella povertà più estrema.
La rivoluzione ha optato per un sistema marxista, una scelta condivisibile o meno, ma i cui risultati devono essere valutati con un minimo di onestà. L’analfabetismo è stato eliminato, sono state create le condizioni per una vita culturale molto vivace e il sistema sanitario, efficace e gratuito per tutti, suscita ammirazione nell’ambito scientifico internazionale. La mortalità infantile è al livello dei paesi occidentali più avanzati e l’aspettativa di vita è più alta di quella negli Stati Uniti. Si dimentica che tali risultati sono stati ottenuti da questo piccolo paese nonostante l’aperta ostilità del suo vicino, la nazione più potente del mondo, che non ha mai fatto mistero della sua volontà di distruggere con ogni mezzo il modello politico cubano. La Cia ha tentato ripetutamente di assassinare Castro, di invadere l’isola, ha finanziato vari oppositori poi scorrazzati nel mondo intero per discreditare il sistema politico cubano.

Dick Marty, già Consigliere agli Stati per il Partito Liberale Radicale Svizzero
Dick Marty è uno degli esponenti di spicco del Partito Liberale Radicale Svizzero

Da oltre mezzo secolo gli Stati Uniti hanno imposto un blocco economico che di fatto è applicato da quasi il mondo intero: se un’industria si azzarda a violarlo è automaticamente esclusa dal mercato americano. Ancora recentemente una grande banca svizzera ha rifiutato di effettuare un pagamento interno di una cittadina svizzera a favore dell’Associazione Svizzera Cuba, banca che peraltro non ha esitato in passato a ospitare beni provenienti da dittatori e traffici di droga. Lo scorso mese di ottobre l’uragano Matthew ha devastato la regione caraibica. Tutti i media hanno riferito dei danni causati a Haiti e in Florida. Nulla o quasi a proposito di Cuba. Eppure la parte orientale dell’isola è stata colpita da venti che hanno raggiunto i 250 chilometri all’ora distruggendo tutto sul suo passaggio. Di grande interesse sarebbe stato chiedersi come mai a Cuba non ci siano state vittime, mentre nella vicinissima Haiti (le due isole sono separate da 75 km di mare) si sono contati quasi mille morti. Non lo si è fatto perché ciò avrebbe significato riconoscere l’efficienza dello stato cubano nel proteggere i propri cittadini, peraltro già dimostrata in occasione dei cicloni che hanno investito la regione negli scorsi anni.
Eppure Haiti è probabilmente il paese al mondo che riceve più aiuti internazionali per abitante; è, tra l’altro, un paese che gode di una grande libertà di stampa al punto che, secondo l’indice stabilito da Reporter senza Frontiere precede addirittura il Giappone, l’Italia, la Grecia o Israele. Libertà, certo, ma quale libertà? Lo stato è totalmente inefficiente, la corruzione è dilagante, molti bambini non hanno accesso alle scuole, la sanità è molto carente (l’arcivescovo di Port-au-Prince mi ha detto che se non ci fossero stati i medici cubani ad aiutare ci sarebbe stata una immensa catastrofe umanitaria), la speranza di vita è di oltre diciassette anni inferiore a quella dei Cubani.
Quali dunque le vere libertà dell’Uomo? L’atteggiamento apertamente ostile del grande vicino costringe Cuba a vivere in una situazione prossima a quella di uno stato di guerra, una tensione permanente che ha un suo prezzo sia a livello di benessere che di libertà. Nell’ultimo conflitto mondiale ricordiamo che pure la Svizzera non esitò a introdurre notevoli limitazioni a livello di libertà di stampa, a ricorrere a misure di internamento amministrativo e anche a pronunciare ed eseguire condanne a morte (dal 2003 a Cuba non ci sono più esecuzioni; negli Stati Uniti nello stesso periodo sono state giustiziate oltre 600 persone). Con questo non si vuole affermare che Cuba sia un paradiso terrestre. Semplicemente penso che il giudizio debba essere più equilibrato, meno saccente e arrogante. Molti Cubani aspirano, a ragione, a maggior benessere e a più libertà. Non a torto, tuttavia, guardano con molta diffidenza a un sistema che sta per permettere a un gruppuscolo di miliardari di governare la cosiddetta “più vecchia democrazia del mondo” e, ahimè, di influire su buona parte del pianeta.
Vero, a Cuba vi è uno dei simboli più sinistri della violazione dei diritti dell’Uomo: la prigione di Guantanamo, luogo di tortura e di non diritto. Ma questa volta, è forse bene ricordarlo, i fratelli Castro non c’entrano.

Fonte: “laRegione Ticino”, 23 dicembre 2016