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I possibili esiti del conflitto siriano

Sono ormai trascorsi diversi anni da quando, sulla scia delle “primavere arabe”, i governi delle nazioni occidentali decisero di promuovere un intervento politico e militare nell’area medio-orientale, volto a una ridefinizione degli assetti  generali nella regione. Il primo paese ad averne fatto le spese fu la Siria, dove il legittimo governo guidato da Bashar al-Assad si trovò in breve tempo a dover fronteggiare l’offensiva di gruppi islamisti, finanziati e appoggiati principalmente dalle monarchie del golfo e dalla Turchia (almeno fino al fallito golpe del luglio scorso).

Fin dai primi momenti e a differenza di quanto avvenne durante l’aggressione alla Libia di Gheddafi, altri attori internazionali si affrettarono a pendere posizione contro l’ennesimo tentativo di “balcanizzazione” di uno stato sovrano, che come unica colpa aveva quella di non volersi piegare di fronte ai desideri di Washington e dei suoi alleati.

Per completezza di informazione, più volte siamo intervenuti dalle colonne di questo portale per demistificare la campagna di menzogne sostenuta dall’apparato mediatico nel nostro continente e per spiegare ai lettori le reali motivazioni economiche ed egemoniche, che in realtà muovono i fili di questa sanguinosa guerra imperialista.

Sicuramente non può essere sottaciuto l’importante appoggio che Russia ed Iran hanno fornito, anche nei momenti di maggior tensione, alla piccola nazione araba, a cui solo negli ultimi mesi si è aggiunto finalmente il sostegno cinese.

Tutt’oggi tra le fila della “sinistra radicale” europea trova scarso sostegno una posizione coerentemente anti-imperialista, che al contrario si dimostra costantemente subalterna alla vaga ideologia della tutela dei diritti umani, la quale si è dimostrata in realtà negli ultimi decenni la principale giustificazione teorica di ogni aggressione militare.

Un altro aspetto che ci preme sottolineare dinnanzi alla “beata ignoranza” di molti commentatori nostrani è come l’ISIS (Stato Islamico) non sia apparso magicamente dal nulla, ma è al contrario il chiaro prodotto di una politica internazionale irresponsabile dell’establishment politico delle nazioni occidentali, il quale pur di perseguire i propri progetti neo-coloniali è disposto ad armare ed addestrare anche esponenti dei settori più integralisti dell’estremismo islamico sunnita.

Negli ultimi periodi però le notizie che ci provengono quotidianamente non sono in realtà così terrificanti, dopo la martoriata città di Palmira, divenuta nota ai più a seguito delle distruzioni del patrimonio artistico operate dai miliziani dell’ISIS, anche Aleppo si unirà in tempi brevi al novero delle zone definitivamente liberate dal regolare esercito siriano.

Certamente molto del futuro di questo conflitto, e quindi anche della sua possibile fine, dipenderà dalle elezioni presidenziali americane dal momento che, come sostengono i sondaggi, dovrebbero essere vinte da Hillary Clinton, la quale non ha mai fatto mistero delle sue posizioni anti-russe e favorevoli alla destituzione di Assad. Ovviamente qualora fosse sfortunatamente eletta la tensione con la Russia guidata da Vladimir Putin, che ha già raggiunto livelli da “guerra fredda” dopo l’imposizione delle sanzioni a seguito della “crisi ucraina”,  sarebbe destinata a crescere ulteriormente.

Proprio il giornalista americano Andrew Spannaus, autore di un interessantissimo pamphlet nel quale spiega senza pregiudizi ideologici il “fenomeno Trump”, indica proprio nella diversa strategia in politica internazionale una delle principali differenze tra i due candidati alla Casa Bianca. L’autore a tal proposito scrive: “Ted Cruz e Donald Trump hanno entrambi criticato Hillary Clinton per il suo essere guerrafondaia, per non essere soddisfatta della guerra in Libia, ma di volerne una nuova in Siria. Entrambi sottolineano la necessità di collaborare con Vladimir Putin e dunque di collaborare con la Russia per combattere il terrorismo – usando sempre parole forti e provocazioni quando si parla di ISIS – piuttosto che condurre un’altra battaglia focalizzata sul cambiamento di regime“.

Sembra proprio che la difesa della pace nel mondo stia più a cuore ironicamente al magnate xenofobo statunitense rispetto che alla sua avversaria “democratica”. Oltre a queste accuse degli esponenti politici repubblicani, che potrebbero essere contestate sulla base della faziosità  della fonte,  si sono aggiunte le e-mail private scambiate da Hilary Clinton pubblicate dal sito Wikileaks, nelle quali non si fa mistero dei piani per rovesciare il legittimo governo siriano nel disperato proposito di arginare la crescente influenza iraniana.

In conclusione, se da un lato sembra che lo Stato Islamico continui a perdere progressivamente terreno in favore dell’esercito lealista e sempre più zone della Siria vengono liberate dall’occupazione islamista; dall’altro l’esito delle elezioni americane potrebbe segnare un punto di svolta nella politica estera degli Stati Uniti, favorendo o contrastando un comunque complesso percorso di normalizzazione della zona medio-orientale.

Non ci resta che attendere il responso delle urne oltre oceano confidando nella maturità del popolo statunitense, che speriamo ponga al primo posto la difesa della pace nella consapevolezza che un nuovo scontro tra le superpotenze potrebbe mettere a repentaglio l’esistenza stessa della specie umana.

Fabio Scolari

Fabio Scolari, classe 1995, dopo aver conseguito la maturità liceale, studia attualmente sociologia a Milano. Oltre a Sinistra.ch, collabora anche alla redazione del mensile “Voci del Naviglio”. E’ membro del direttivo dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) di Trezzano.