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Il potere deriva dal codice civile cinese

Pubblichiamo questo articolo apparso il 23 agosto 2013 sul quotidiano italiano “Il sole 24 ore” (link). Nonostante siano passati già alcuni anni, esso mantiene la sua attualità e permette di conoscere una storia che in Svizzera è poco nota, ma che dimostra l’importanza delle relazioni di cooperazione internazionale che i comunisti sviluppano. Oliviero Diliberto, dopo essere stato ministro, deputato e per 13 anni segretario dei comunisti italiani è oggi membro onorario del Partito Comunista della Svizzera Italiana e insegna diritto romano in Italia e in Cina.


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Diliberto è stato segretario generale dei Comunisti italiani fino al 2013

Roma è torrida, le pagine si sfaldano. Nel mezzanino di un’elegante palazzina di cinque piani nel quartiere Prati i deumidificatori garantiscono l’adeguato microclima ai 20mila volumi che Oliviero Diliberto custodisce nel suo studio. «Non mi preoccupano i libri del Cinquecento – dice – la carta di stracci resiste meravigliosamente. Sono quelli dell’Ottocento-Novecento i più a rischio: la cellulosa si deteriora male». Professore di diritto romano alla Sapienza, ministro di Grazia e Giustizia durante il Governo D’Alema (1998-2000), da un mese ex segretario del Partito dei comunisti italiani reduce dallo «schiaffo elettorale» (parole sue) dell’operazione Ingroia, per Diliberto quella attuale sembra essere una stagione in cui le soddisfazioni aumentano con l’allontanarsi dall’epicentro della sua vita politica. Perlomeno quella tradizionalmente intesa, di partito di piazza di lotta.

Ma siccome la fedeltà paga, è sempre sotto la bandiera rossa di una vita che si raccolgono i frutti migliori. Da oltre dieci anni Diliberto è infatti protagonista di una vicenda insieme rilevante e ignota: sta aiutando a scrivere l’intero Codice civile della futura prima potenza mondiale: la Cina. I “come” ed i “perché” di questa storia meriterebbero ampia trattazione a parte, ma eccone uno stralcio in sintesi. Siamo nel 1988 e la Repubblica popolare procede sulla strada delle riforme economiche non senza tumulti. Sandro Schipani, allora professore di Diritto romano a Tor Vergata (oggi alla Sapienza insieme a Diliberto), ha un’intuizione geniale: se la Cina si apre al mercato, avrà bisogno di darsi delle regole. Schipani ottiene la firma di un protocollo per la collaborazione accademica. Passano gli anni e la Cina cambia e cresce. In Costituzione entra la modifica più importante (racconta divertito Diliberto che alla sua domanda da ministro della Giustizia italiano su cosa fosse «uno Stato socialista a economia di mercato», l’omologo ministro cinese gli rispose: «Non lo so, però funziona»). I contatti vanno avanti e a Pechino compaiono traduzioni del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Nel 1999, il gruppo dirigente del Partito comunista cinese decide che c’è bisogno – come intuito da Schipani dieci anni prima – di redigere un corpo di leggi civili per regolare l’economia. Segue dibattito sul modello da adottare: europeo a base romanistica o anglosassone (common law)? Un po’ per i tomi già tradotti in cinese, un po’ per i convegni organizzati da Schipani e Diliberto, un po’ perché common law uguale Stati Uniti, a imporsi è il modello romanistico. E dove vanno i cinesi a imparare il diritto romano? A Roma, da Diliberto il professore comunista. Futuri giuristi e giudici dei tribunali cinesi si stanno formando tra La Sapienza e Tor Vergata. «Sono circa un migliaio, studenti incredibili – dice – Hanno motivazioni alle stelle e sono curiosissimi. Il dottorato dura tra i tre e i quattro anni. Imparano l’italiano, il latino e il diritto romano. Ma non gli basta: mi chiedono di Cicerone, mi chiedono di Virgilio. Vogliono sapere tutto». Le lezioni sono uno spettacolo interessante: due ore filate, Diliberto all’impiedi («Niente sedia per il professore. Segno di rispetto nei confronti dello studente»), mentre il dibattito prende corpo. «Io mando la lezione agli ex allievi che la traducono. I nuovi arrivano in aula che l’hanno già imparata e cominciano a farmi domande, cui rispondo con l’aiuto di un traduttore. È tutto molto intenso». Mentre racconta, l’ex ministro squaderna svariati volumi di quello che diventerà il codice civile, una sfilza di caratteri cinesi interrotti qua e là da espressioni quali stipulatio, ab intestato o in solidum. A prima vista viene da sorridere. Ma non ce n’è motivo, su questo Diliberto è chiarissimo: «Nessuno ha ancora capito la portata di questa vicenda, è incredibile. Gli imprenditori italiani avranno gli stessi strumenti giuridici qui e a Pechino. Il ministero degli Esteri ha istituito due borse di studio. Due in tutto! Gli altri, come sempre, lo hanno capito. I tedeschi, per esempio. Sono i nostri concorrenti diretti nel reclutamento dei dottorandi. Solo che loro hanno infiniti denari in più. Al momento restiamo primi in questa gara solo perché i cinesi vogliono venire a studiare il diritto romano dov’è nato, e cioè a Roma e non a Ratisbona». Tempo ce ne sarebbe ancora: secondo Diliberto la Cina arriverà alla codificazione completa in una decina d’anni: «Sì, ma dobbiamo svegliarci», si scalda. Oggi va in Cina almeno una volta l’anno e non si dà pace che ci sia un solo dottorando italiano in tutto il Celeste Impero: «Quando ritornerà in Italia e aprirà uno studio, quanti clienti avrà?». Anche per questo ha in mente di portare i dieci migliori studenti della Sapienza in Cina, «per fargli vedere che quello che qui stanno studiando come diritto del passato, là è il futuro. È clamoroso, basterebbe pensare al beneficio per i nostri imprenditori ad avere professionisti italiani che li possano rappresentare nei tribunali cinesi». Per la trasferta dei migliori mancano però dei fondi. La conversazione scivola su importanti – specie per un comunista – tecnicismi giuridici, la definizione di proprietà privata innanzitutto («C’è stato un dibattito feroce, tre ali si sono sfidate, ma come sempre i partiti comunisti si governano dal centro e ha vinto la tesi che io stesso avevo suggerito»).

dilibertocinaResta il tempo per una manciata di giudizi da politico di scuola PCI, quel genere di politico una volta presente in Italia che difficilmente si trova a rincorrere quel che ha detto cinque minuti o cinque anni prima, perché quel che dice di solito è comprovato, e quando si entra in argomento scivoloso, quel che dice tende ad assomigliare a un blocco insieme fumoso e granitico. Così la questione dei diritti umani in Cina si trova già nel mezzo di «un pendio insensibile» attraverso cui verra gradualmente risolta; il neo-segretario del suo partito, Cesare Procaccini, è «solidissimo. Un quadro operaio di assoluto livello»; il Kuomintang rappresentato dal MoVimento5 Stelle potrebbe essere passato: «Peggio di come si stanno comportando in Parlamento è difficile»; mentre l’imperfetta gestione pre e post-elettorale del Pd del segretario Bersani diventa questione territoriale: «Il PCI non ha mai lasciato le chiavi del partito in Emilia. Chissà perché». L’ultimo è un invito: «Se avessi 30 anni andrei subito a vivere in Cina, le possibilità che si apriranno…». Quindi pensione a Pechino? «Pensione in Sardegna».