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Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, un segno di guerra

Il Nobel per la Letteratura può essere assegnato a un poeta cantautore come Dylan, ma anche a uno storico, come è capitato a Winston Churchill. Le polemiche sono quindi inutili.

Bob Dylan inizia la sua carriera appena ventiduenne mettendo la sua musica e le sue parole nella lotta voluta da Martin Luther King contro il razzismo e la diseguaglianza. È a Washington nel 1963 alla famosa marcia organizzata dal reverendo, quella del discorso che si apre con le parole: “Io ho un sogno”, lì Dylan canta “Blowin’ in the Wind”, forse la sua canzone più celebre.

Tuttavia il suo impegno politico si fa sempre più rarefatto, è uno dei pochi a non esprimersi contro la guerra in Vietnam e addirittura, quando Israele aggredisce il Libano e permette la strage di Sabra e Shatila, agli inizi degli anni ’80, dedica una affettuosa canzone: “Teppisti del quartiere”, in originale “Neighborhood bully”, agli israeliani.

Per molti aspetti questo premio pare, non si sa quanto volontariamente o involontariamente, un altro tassello della guerra mondiale in corso, feroce, ma invisibile, almeno agli occhi degli europei, che pare proprio non capiscano nulla di quanto sta accadendo. Così la sinistra europea si genuflette di fronte ai buoni sentimenti di Dylan, addirittura il quotidiano italiano “Il Manifesto” titola che è una risposta contro Donald Trump. Come se non si sapesse che la signora Clinton vuole la guerra, parole testuali dei suoi collaboratori, contro Iran, Cina e Russia, mentre Trump chiede accordi di pace con tutti e tre. Il clima di guerra è anche aumentato dalla sempre più rarefatta disponibilità planetaria di materie prime alimentari e di acqua, a causa del tracollo ecologico della terra. Anche questo tuttavia sembra interessare poco gli europei.

Il Nobel a Bob Dylan insomma è un premio a un menestrello innocuo, espressione di una certa cultura a stelle e strisce, scambiata da alcuni come massima espressione del progresso, in realtà ottimo rappresentante di una poetica per molti aspetti funzionale all’imperialismo nell’attuale contesto di guerra. Insomma una brutta notizia, peccato pochi se ne avvedano.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.