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il “Flauto Magico” è “un’accozzaglia di banalità massoniche”?

Marguerite Yourcenar ha definito il “Flauto Magico” “un’accozzaglia di banalità massoniche” e certamente coglie nel segno quando intende stigmatizzare il libretto scritto da Emanuel Schikaneder, cantante lirico e primo Papageno dell’opera, un testo contrassegnato da un lato dal razzismo contro i neri, dall’altro dalla costante considerazione delle donne come inferiori agli uomini e totalmente incapaci di disporre della loro vita senza la guida di un maschio. Anche i richiami massonici sono del tutto evidenti, quasi forzati, alla ricerca di una illuminazione delle ragione che dovrebbe essere capace di vincere il male e affermare il bene, un percorso comunque sempre iniziatico, esclusivo e non includente, corroborato da una chiara avversione al sistema clericale, all’epoca ancillare a quello feudale. L’opera mozartiana ha comunque sempre riscosso un vasto successo fin dalla sua apparizione nel 1791, diretta dallo stesso salisburghese allora trentacinquenne e a soli due mesi dalla sua morte, un consenso probabilmente consolidatosi nel tempo per la vivacità musicale dell’opera, dalla giocosità di Papageno ai gorgheggianti virtuosismi della Regina della Notte.
L'incoronazione Di Poppea (Saison 2013-2014)Il radicamento della borghesia massonica nei gangli del potere economico dell’impero asburgico è certamente una delle ragioni della tolleranza all’epoca della polizia imperiale per un’opera dai contenuti dichiarati, seppur ammantati da un orientalismo egiziaco che era in parte connaturato con la stessa ritualità massonica. Tuttavia un’ulteriore congiuntura favorevole deve aver permesso la libera circolazione dell’opera, il brevissimo regno di Leopoldo e di sua moglie Maria Luisa. I due guidano il vasto regno per due anni, dal 1790 al 1792, amici di illuministi, sono fuori luogo nei palazzi del potere viennese e se ne sentono estranei. I due sovrani tra loro parlano italiano, Maria Luisa infatti è nata a Portici ed è una Borbone napoletana, Leopoldo, molto legato ai suoi precettori massoni, dai suoi diciotto anni è per un quarto di secolo è stato Granduca di Toscana, prima di dover accettare, probabilmente con poca convinzione, la corona imperiale alla morte del fratello Giuseppe II. Leopoldo e il suo regno sono quindi una delle circostanze favorevoli che permettono agli ambienti massonici di poter spingere perché Mozart, ad essi legato, decida di musicare il libretto di Schikaneder. Oggi tutto il contesto sociale, politico e culturale in cui l’opera è maturata è totalmente tramortito dagli oltre due secoli da allora trascorsi, una distanza che da un lato ci permette di sorridere con disincantata ironia delle più ridicole stravaganze e intolleranze del testo e dall’altro d’ascoltare la musica mozartiana emancipandola dai limiti testuali, immergendosi semplicemente nella bellezza delle note, restituite con grande qualità dai giovani del Coro e dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, diretti nel settembre 2016 a Milano da Ádám Fischer per la regia di Peter Stein e le scene di Ferdinand Wögerbauer.
Sempre a settembre La Scala ha riproposto “L’incoronazione di Poppea” di Claudio Monteverdi per la direzione di Rinaldo Alessandrini e la regia di Robert Wilson, una versione già andata in scena nel febbraio 2015, sincopata e molto moderna, che ha ceduto a molti tagliuzzamenti, forse troppi, tuttavia capace di restituire l’assoluta bellezza e la stupefacente sublimità di un’opera più forte del tempo, visto che quasi quattro secoli la separano dalla prima rappresentazione veneziana del 1643, scritta da un ormai ultrasettantenne Monteverdi, il quale proprio nel novembre di quell’anno si sarebbe spento a Venezia di ritorno da un viaggio nella natia Cremona, un uomo del ‘500, eppure tra i massimi innovatori in campo musicale, epigono della modernità.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.