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Da Egitto e Argentina le opere più significative del 69esimo Festival del Film di Locarno

La 69esima edizione del Festival del Film di Locarno è stata come sempre ricca di opere, a volte interessanti, in molti casi deludenti, ma sempre capaci di stimolare il confronto.

Fotogramma de El futuro perfecto, di Nele Wohlatz.
Fotogramma de El futuro perfecto, di Nele Wohlatz.

Riuscita, sorprendente, surreale, divertente, è l’intelligente commedia presentata dalla tedesco-argentina Nele Wohlatz, “El futuro perfecto”. Xiaobin, immigrata cinese di diciassette anni a Buenos Aires, incontra l’indiano Vijay e l’amore, dapprima muto, si riempie di quelle parole che Xiaobin sta imparando alla scuola di spagnolo per immigrati, un percorso umano e di emancipazione personale raccontato con leggerezza e con il sorriso, certamente il film migliore visto al festival insieme a “Verde appassito” dell’egiziano Mohammed Hammad. Con poesia, con una fotografia stupenda e toccante, capace di scavare con delicatezza nella quotidianità di due sorelle sole, interpretate da Hiba Ali e Asmaa Fawzy, ci restituisce tutta la bellezza del Cairo di oggi, quello popolare, fatto di case decorose seppure modeste, di balconi impolverati dal deserto, di finestre capaci di aprirsi su cieli stellati, di letti massicci eppure comodi che raccolgono le membra dopo le fatiche del giorno, mentre la metropolitana sferraglia insistente. In questa città e in questo realtà, le donne, coraggiosamente, costruiscono il loro avvenire. Entrambe i film sono stati presentati nella sezione Cineasti del Presente. “El futuro perfecto” è risultata la pellicola vincitrice del premio per la migliore opera prima e il miglior film per la giuria del premio Boccalino della critica indipendente. Il Boccalino per la miglior regia ha invece premiato la bulgara Ralitza Petrova, risultata vincitrice del concorso con “Senza dio”, storia disperante di marginalità sociale.

Il film egiziano Verde appassito, di Mohammed Hammad.
Il film egiziano Verde appassito, di Mohammed Hammad.

Interessante fuori concorso l’opera di Nicolas Wadimoff chiamata a raccontare Jean Ziegler, anziano, certo, ma non stanco, così il film “Jean Ziegler, l’ottimismo della volontà”, titolo che riprende la nota frase gramsciana che coniugava tale ottimismo con il pessimismo della ragione, indaga la passione politica di un uomo che è stato a fianco di Che Guevara e Thomas Sankara, il presidente del Burkina Faso trucidato perché stava costruendo una nazione libera e partecipata, finalmente emancipata dal neocolonialismo, ucciso su mandato dei presidenti Reagan e Mitterand, sì anche il presidente socialdemocratico francese,. Ziegler esprime concetti forti e chiari: “ogni cinque secondi muore di fame un bambino e possiamo dire che è vittima del terrorismo economico internazionale”, ovvero delle multinazionali speculative. Ziegler non solo difende Cuba, consapevole che ogni cedimento, anche verso il multipartitismo, avrebbe come risultato la distruzione delle conquiste sociali della Rivoluzione, casa, scuola, lavoro, ma non ha dubbi che si debba lottare, ancora oggi, o forse oggi più che mai, contro il fascismo, il capitalismo e l’imperialismo. Con molte ragioni poi sostiene che il socialismo bolivariano, oggi gravemente sotto attacco, “non è l’uragano di cui abbiamo bisogno, ma almeno il vento che si alza”. Il socialismo quindi, quello radicato nella tradizione marxista, resta un valido orizzonte per il futuro, purché libero da compromessi socialdemocratici coi poteri forti, una deriva bollata come parte integrante della destra tanto dal presidente boliviano Evo Morales, quanto nel film dallo scrittore cubano Roberto Fernández Retamar, direttore della Casa de las Americas.

Toccante, fuori concorso, la storia di Zaineb, che come spiega il titolo “Zeinab odia la neve”, vive il difficile trasferimento dalla Tunisia al Canada. La regista Kaouther Ben Hania, indaga e indugia con discrezione per sei anni, dai nove ai quindici, la vita di Zeinab, degli adulti che ruotano attorno a lei e soprattutto dalla coetanea Wijdene, figlia del nuovo marito della madre. Girato in quattro tempi, a nove, dieci e mezzo, dodici e quindici anni della ragazza, ci restituisce tutta l’effervescenza e la naturale mutevolezza delle idee e dei desideri man mano che si cresce e si diventa maggiormente consapevoli. Un film importante che ci ribadisce come le culture si nutrano di dialogo e solo nell’incontro sia possibile costruire il domani.

Molti i film presentati anche al Rivellino, che a tutti gli effetti si presenta come spazio di una sezione parallela del Festival. È auspicio, nel generale interesse di una promozione culturale sempre più plurale, vasta, ricca che la collaborazione tra Rivellino e Festival si accresca e si concretizzi. Al Rivellino presentati i due film premiati dall’ISPEC – Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo, “Il Palazzo del Popolo”, della russa Elena Gladkova, dedicato alla meravigliosa e monumentale metropolitana moscovita e “Ogni roveto un dio che arde” di Giorgiomaria Cornelio e Luca Rossi, opera di due giovani talentuosi capaci di rigenerare registri novecenteschi in un cinema moderno e affascinante.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.