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Jean Ziegler e l’ottimismo della volontà

Sinistra.ch dà spazio a due commenti di “Jean Ziegler, l’optimisme de la volonté” – uno di Alberto Togni, l’altro di Lea Ferrari. Crediamo che, pur partendo da prospettive diverse, essi si completino.


«Per me non si trattava di srotolare il tappeto rosso a Jean Ziegler, ma l’obiettivo non era nemmeno quello di demolirlo. Ho tentato di adottare “un’empatia critica”».

In una brevissima intervista alla RTS (swissinfo.ch), Nicolas Wadimoff descrive così l’obiettivo del suo ritratto sulla figura di Jean Ziegler in “L’optimisme de la volonté”. A parlare durante il film, Ziegler stesso, accompagnato dal suo ex studente in scienze politiche, in un viaggio a Cuba allo scopo di rendere evidenti al professore le numerosi contraddizioni odierne di quel sistema che tanto gli sta a cuore. Ma il sociologo saluta con fierezza la Rivoluzione e i suoi successi, quali l’istruzione garantita universalmente e lo sradicamento totale della fame, e si spinge oltre, stroncando le critiche concernenti l’assenza del multipartitismo a Cuba, citando a titolo d’esempio il massacro perpetrato in Cile dall’esperimento neoliberista di Pinochet, reso possibile proprio dall’assenza di misure restrittive volte a impedire una possibile ingerenza esterna in un paese che stava riuscendo a liberarsi dall’egemonia delle classi dominanti.

Insomma, le premesse per un documentario interessante su una figura sicuramente importante e altrettanto scomoda nella Svizzera del Novecento c’erano tutte. Tuttavia, le modalità di confezionamento e il conseguente risultato mi hanno lasciato perplesso.

Sentire il pubblico circostante sbellicarsi da affettuose risate ogniqualvolta Ziegler asseriva importanti concetti, difendeva le politiche adottate dal governo Cubano per difendersi dalle ingerenze esterne o criticava i discorsi triti e ritriti sulla libertà di stampa cui siamo soliti essere bombardati in Occidente ha in parte confermato i miei timori su quanto questo film rischi, purtroppo, di essere frainteso e di trasformarsi in una “caritatevole” intervista sui deliri senili di una figura che appartiene ormai al passato. Il pericolo di archiviare come ingenuità di un nostalgico i rapporti che Ziegler ha intrattenuto con Thomas Sankara oppure con Gheddafi, e di svilire così anche le sue accuse mosse nei confronti di chi tutt’oggi sfrutta e opprime nel mondo, è sicuramente presente.

È un peccato, perché Jean Ziegler, seppure a sua volta mostri i limiti della sua prassi, dall’alto dei suoi ottantadue anni non sembra avere alcuna intenzione di cessare la lotta in seno alle Nazioni Unite, condannando esplicitamente la fame nel mondo come un omicidio volontario e deliberato di migliaia di persone e tentando di portare avanti la missione che il Che gli avrebbe affidato: «combattere il mostro nel suo cuore».

Alberto Togni


Jean Ziegler, in una scena de "l'optimisme de la volonté", accanto alla moglie Erica
Jean Ziegler, in una scena de “l’optimisme de la volonté”, accanto alla moglie Erica

Jean Ziegler è tra gli svizzeri più illustri, ha conosciuto figure fondamentali del Novecento ed è sempre stato un personaggio scomodo. Il ritratto di Wadimoff non tradisce questa descrizione, anche quando il regista cerca di provocare l’esperto per il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e si trova confrontato con risposte precise e lucide che non possono che esaltare l’integrità del pensiero di un ormai ottuagenario Ziegler. Ci troviamo di fronte ad un documento importante che probabilmente oggi rischia di non essere compreso e di suscitare il sorriso nei confronti di un vecchio nostalgico. Questa sensazione si è manifestata in sala, indotta a tratti dal regista stesso: Wadimoff è stato allievo di Ziegler durante i suoi studi di scienze politiche a Ginevra, ne prova perciò un grande rispetto pur spesso non condividendo i suoi punti di vista, che a volte sembrano essere percepiti come deliri di un rincoglionito. A mio giudizio si tratta però di un ritratto che consegna ai posteri un’analisi della storia critica, razionale e scomoda sostenuta da Ziegler, che può lasciar basito con le sue risposte misurate e taglienti soprattutto chi è digiuno di ragionamenti indipendenti e si nutre essenzialmente di notizie di agenzia e redattori superficiali. Ziegler torna a Cuba per questo documentario e saluta soddisfatto i traguardi della Rivoluzione: istruzione universale e nessun affamato, passi essenziali per una società giusta che non possono in alcuna maniera essere sacrificati all’altare del multipartitismo e della libertà di stampa, critiche che noi europei sortiamo frequentemente e con gran leggerezza nei confronti del governo di Castro. Ziegler aggiunge, ammiccando beffardo al regista, che forse lo potrà anche disgustare, ma il controllo sociale è necessario in fasi fragili dell’istituzione di una società diversa, avversa agli interessi economici egemonici, e che se Allende in Cile avesse dato ascolto a Fidel Castro, applicando misure restrittive nei confronti delle ingerenze esterne, si sarebbero potute evitare le mattanze del governo Pinochet. Che sia di lezione la massima Rousseau: “tra il debole e il forte, è la libertà che opprime e la legge che libera”. In questo senso è notevolissimo l’impegno che ha sempre contraddistinto Jean Ziegler e che lo porta ancora oggi a battersi quotidianamente per la giustizia all’interno delle Nazioni Unite, dove deve assumere i panni del diplomatico formando alleanze ed equilibri per condannare pubblicamente lo sfruttamento e la fame nel mondo; un morto di fame è per Ziegler un omicidio perpetrato dai grandi interessi economici contro i deboli del mondo. Alla sua veneranda età si dimostra ancora capace di modulare i suoi ruoli dentro e fuori le istituzioni: dalle declamazioni di piazza, ai libri, alle sedute dell’ONU riesce sempre con grande coerenza a denunciare le disparità senza dimenticare una prospettiva globale ed un obiettivo rivoluzionario.

Lea Ferrari