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Gotthard, un film… svizzero

La seconda serata di prefestival ha visto proiettato il film Gotthard del regista svizzero Urs Egger. Indicata come “la più grande produzione SSR”, la miniserie in due puntate presentata come film unico si è dimostrata un buon prodotto dal punto di vista cinematografico, ma troppo intrisa di clichés e impantanata nell’autoglorificazione della magnificenza dell’opera.
La serata di prefestival è stata introdotta come sempre dal presidente Marco Solari, che sulla falsa riga degli scorsi anni ha ricordato l’importanza della partnership (o sponsoring, secondo i punti di vista) per le proiezioni gratuite offerte alla popolazione e per il Festival in generale. Con lui sul palco il direttore della SSR, che ha prodotto la miniserie, e il CEO delle FFS, che ha ringraziato i clienti (e non spettatori!) della piazza per aver contribuito a produrre il film. Scena che ha generato ironia e qualche fischio dal pubblico, e che richiamava – certo con crismi diversi – il coinvolgimento finanziario dei lavoratori stessi nell’opera del traforo, sui cui torneremo nei prossimi paragrafi.
La trama, in sintesi, nonostante le tre ore, si articolava su una base di fiction contorniata dalle vicende storicamente ricostruite seguendo le vicende dei personaggi: Anna (Miriam Stein), figlia di un carrettiere di Göschenen restìo alla galleria attraverso il traliccio del San Gottardo, Max (Maxim Mehmet), futuro ingegnere ambizioso che arriva dalla Germania, e Tommaso (Pasquale Aleardi), minatore piemontese immigrato per l’opera. Tra le tre figure si instaureranno legami mutevoli di amicizia, amore e conflitto quando si troveranno negli schieramenti dagli interessi opposti – la compagnia promotrice del traforo e gli operai sottoposti a pessime condizioni di lavoro e basse paghe.
Carlos Leal interpreta Louis Favre. © SRG SSR / SRF
Carlos Leal interpreta Louis Favre.
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Il film si articola nello svolgimento del primo traforo tra Airolo e Göschenen, presentando tutte le problematiche e gli imprevisti di un’opera più volta definita maestosa, straordinaria e incredibile, con un senso di onnipotenza umana nei confronti della natura come avversario da sconfiggere solo discretamente velato. Gli elementi storici e politici vengono lentamente snocciolati, ruotando attorno al problema dei finanziamenti all’opera e i conflitti tra lo Stato elvetico e Alfred Escher, politico, fondatore del Credito Svizzero nonché presidente della Società della ferrovia del San Gottardo. Imprenditore spinto a sua volta da Louis Favre (Carlos Leal), ambizioso ingegnere che vinse a suo tempo l’appalto per la costruzione della galleria, azzardando come raccontato nel film l’investimento e i finanziamenti, sperando nel progresso tecnico e organizzativo che si sarebbe sviluppato durante il corso d’opera. Le problematiche seguono: i risparmi sulle misure di sicurezza delle gallerie, le condizioni di lavoro pessime degli operai, tra paghe basse, problemi di aerazione, epidemie nascoste dal medico pagato dalla compagnia, repressione armata dell’esercito sui minatori scioperanti.

Così descritto potrebbe apparire un film interessato alle contraddizioni del tunnel ferroviario del Gottardo, e probabilmente lo è davvero negli intenti di scrittura. Però è una pellicola che non osa e rimane sempre bilanciata, trasmettendo a chi guarda con attenzione la sensazione di un film figlio della produzione e dei partner rispetto alla regia. Lungo tutto il corso della pellicola si annida un sentimento di glorificazione per la riuscita della sfida “nonostante tutto”: la classica retorica del sacrificio necessario è onnipresente, anche di fronte al dramma delle centinaia di vite stroncate da crolli, malattie e spari. Il tema dell’impresa comune è snocciolato, ricollegandoci all’inizio dell’articolo, con il tentativo riuscito di creare un circuito monetario parallelo, i cosiddetti Franchi Favre, con cui gli operai immigrati capitanati da Tommaso (incastrati nei clichés di donnaioli sanguigni gli italiani, più timidi e laboriosi i tedeschi) finiscono per finanziare l’opera diventando azionisti temporanei della compagnia per posticipare i pagamenti agli operai, viste le risorse della compagnia ormai esaurite. Qui si rivede il parallelismo con la “battuta” del Ceo delle FFS, che a fronte dei continui rincari annuali si congratulava con i clienti per la produzione dell’opera.
Un film tipicamente svizzero insomma, dove le contraddizioni vengono snocciolate in modo sempre all’apparenza politicamente corretto, rendendo l’idea delle difficoltà collettive che colpiscono tutti (a pagare davvero però, come sempre, sono i lavoratori), mitigate però nella retorica dell’impresa “collettiva”, negli abbracci ed esultanze di tutti al termine dell’opera, e nei discorsi da parte dei capi progetto quando invitano gli operai a non abbandonare il cantiere per non rendere i sacrifici umani vani. Sacrifici umani in realtà immotivati, prodotti dalla logica del profitto di fronte a un’opera di pubblica utilità gestita da imprenditori privati, dove i lavoratori incarnano il proletariato alienato tanto caro a quel Karl Marx, citato nelle battute conclusive da Tommaso quando afferma di volerlo raggiungere a Londra. Retorica del compromesso in nome del “bene comune”, che a distanza di oltre un secolo continuiamo a sentire da parte di tutti i politici di fronte al peggioramento delle condizioni salariali e contrattuali dei lavoratori, e ai continui tagli alla spesa sociale.