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Finanze al vento…

Le persone che non si riconoscono in una qualsiasi forma di fede religiosa, soprattutto se organizzata, vengono spesso etichettate da “ottocentista” quando esprimono le loro critiche.

In effetti cercano solo di analizzare la situazione, proponendo alternative valide alla vita umana di convivenza, laddove le regole ed i comportamenti sono di un’età ben precedente alla nascita dell’illuminismo.

Prendiamo in oggetto il modo di finanziamento pubblico di quegli enti religiosi, da noi la Chiesa cattolica-romana e quella evangelica, con i soldi delle imposte di tutti, riscossi dallo Stato e dai Comuni.

Siamo in un periodo dove l’economia piange miseria e, di riflesso, anche le varie Amministrazioni civili tendono a contenere, razionalizzare, gli sperperi:

giustamente dove si dimostra o si ha il sospetto che qualcuno attinga dall’erario pubblico mettendo, di nascosto, le mani nel “pozzo di San Patrizio”; a torto, invece e smisuratamente, quando questi “risparmi” vengono pensati ed attuati sulle persone, dipendenti in primis, ma anche semplici cittadini contribuenti poi.

Dato per scontato che tutti debbano “tirare la cinghia”, vien spontanea la domanda: qual è il motivo per cui non dovrebbero farlo anche coloro che godono tutt’ora di privilegi vetusti?

Per esempio è noto che il solo Comune di Lugano risparmierebbe o, meglio, avrebbe a disposizione per tutti i concittadini dai 400 ai 700mila franchi annui, semplicemente evitando di regalarli alle organizzazioni religiose.

E vi lascio immaginare quanti milioni ci sarebbero a disposizione a livello cantonale, magari utilizzabili per evitare di penalizzare ulteriormente i cittadini con, ancora per esempio, il balzello sui posteggi!

Si potrebbe obiettare che i soldi delle congrue, cioè di quei contributi che il potere civile dà alle Chiese prelevandoli (senza per altro che vi sia una vera trasparenza dell’operazione) dalle imposte di ogni singolo domiciliato, anche quelli non credenti, sono usati dai riceventi per opere di bene caritatevoli ed assistenziali.

Anche lo Stato ha già abbastanza a cuore la socialità, ma non è da misconoscere l’importanza di questa azione eseguita da enti obbedienti alle leggi di un Dio, forse sì onnipotente e onnisciente, ma presentato come non docente di principi atti a ricercare prevalentemente i beni ed i piaceri materiali. Basta però entrare in qualsiasi luogo di culto per vedere le innumerevoli ricchezze presenti, che vanno aggiunte a tutte le proprietà immobiliari e terriere che i sacerdoti o pastori possiedono. Una ricchezza che sembra incalcolabile e segreta, perché molteplici e laiche richieste di un loro inventario sono rimaste, vergognosamente, ancora senza risposta.

Eppure, come richiesto a tutti i laici, sarebbe ora che anche i governanti ecclesiastici usassero o consumassero del loro per lo svolgimento della propria missione. Bisogni ulteriori dovrebbero essere richiesti tramite riscossione diretta del dovuto solamente a coloro che si riconoscono nella specifica fede, come avviene correttamente in alcuni Comuni ticinesi.

Applicando in modo adeguato ciò che leggi e regolamenti civili già contemplano si potrebbe ridare a “Cesare” ciò che “Dio” gli sta ancora inopportunamente sottraendo.

 Giovanni Barella, presidente della sezione ticinese dell’Associazione Svizzera dei Liberi Pensatori

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