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Romania: il presente più violento del passato

L’invenzione della storia si tocca con mano a Bucarest. Se una storia è falsa, ma si afferma sia vera, alla fine diventa vera per il cittadino comune, così come per lo studente di superficiali e pessimi libri di scuola. Nel 1989 in Romania non c’è stata nessuna rivoluzione. Un’azione congiunta dei servizi segreti statunitensi e sovietici, con il coinvolgimento di quelli italiani collegati alla rete clandestina anticomunista di Gladio e la connivente complicità di molti dirigenti comunisti rumeni, che poi sarebbero diventati i governanti “democratici” del paese negli anni successivi, ha abbattuto lo stato popolare nato dalla Resistenza contro i nazisti e contro il regime fascista rumeno di Antonescu.

Lo stato socialista è cresciuto in modo mirabile dal 1945 al 1965 e poi è stato gestito in modo scriteriato da Nicolae Ceausescu, afflitto da un culto della personalità che debordando ogni ragionevolezza scadeva nel patologico, si pensi solo alle enciclopedie che descrivevano lui e la moglie Elena come geniali inventori di mille novità scientifiche e tecnologiche. Ceausescu è stato promotore di un nazionalismo molto poco internazionalista, che ancora attanaglia questo paese di valacchi, moldavi e transilvani, trasformatisi in nazione rumena molto tardivamente, inoltre ha immiserito il popolo per ripagare i crediti esteri ottenuti dagli occidentali, in particolare i tedeschi di Bonn, coltivando pure relazioni amichevoli con gli israeliani a danno dei palestinesi.

bucarest palazzoLa Romania del 1989 era una nazione impoverita da un capo di stato inetto, contornato da dirigenti di partito servili e interessati prima a incensarlo e poi a sostituirlo, sposando il peggiore liberismo, quello che ancora oggi assicura stipendi di cento o duecento euro al mese, pur di mantenere i loro privilegi e il loro potere. È quindi quella rumena una storia tragica, in cui alla durezza del passato dal 1990 si sono aggiunti povertà, disperazione sociale, violenza furibonda, bambini di strada.

Perché – qualcuno forse se lo dimentica – il peggio per i rumeni è arrivato con la fine del socialismo. Prima casa, scuola, lavoro, approvvigionamento alimentare, seppur modesto, erano garantiti a tutte e tutti, poi si è aperta la stagione della “libertà”, fatta di fame, ammazzamenti, crudeltà. Tutte queste ferite sono vive e visibili nella Bucarest di oggi, le piaghe, gli errori, le colpe, l’esclusione sociale  sono lì, a segno del tempo che quando ferisce lascia segni profondi. Il caldo canicolare mitiga il grigiore di una città che tuttavia ha edificato in fretta i palazzi necessari per garantire la casa ai suoi abitanti, anche dopo i terremoti, ultimo e devastante quello del 1977.

Una statua, se non fosse per la foggia degli abiti tardo-otocenteschi, parrebbe quella del georgiano a lungo segretario dei comunisti sovietici, solo i baffi sono leggermente più folti e un po’ più spioventi, in un’altra piazza ecco il busto di Kemal Atatürk, in omaggio alla minoranza turca. Il centro storico, edificato tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento coniuga pompose velleità di grandezza quasi parigina con la tipica trascuratezza socialista, tuttavia capace di vincere il tempo. La metropolitana, costruita a partire dal 1979, non ha visto la collaborazione dei sovietici, sdegnosamente rifiutata, seppur alcune stazioni indulgano a una certa monumentalità in stile brezneviano, gli attuali treni sono modernissimi e di produzione cinese, gi stessi di Pechino.

Bambine, bambini, ragazze e ragazzi di strada attraversano a branchi la piazza che porta alla mastodontica residenza dei Ceausescu. I loro sguardi dicono che sanno già tutto della vita, dolori e gioie, violenze e desideri, puri e torbidi. Pur rotti ai mercimoni del mondo e dei loro stessi corpi, stupendomi, sorridono ancora, mentre corrono sotto le gigantesche insegne dei prodotti occidentali che hanno preso il posto di quelle dei coniugi Ceausescu, le quali a loro volta avevano sostituito quelle di Lenin e di Marx, giudicate poco patriottiche. Tuttavia ai tempi dei padri del socialismo, così come della coppia rumena, i bambini e i ragazzi andavano a scuola con al collo il fazzoletto rosso dei pionieri e avevano una casa e un pasto. Oggi, giunta la libertà del capitalismo, non hanno nulla. Osservarli è toccante e sconvolgente, il pensiero corre alle descrizioni delle e degli scugnizzi napoletani del dopoguerra, raccontate con cruda sincerità ne “La pelle” da Malaparte, un libro che gli è valso la profonda amicizia di Palmiro Togliatti e l’odio e l’ostracismo di Pio XII, di De Gasperi e degli statunitensi.

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Gheorghe Gheorghiu-Dej

Tanto con Gheorghe Gheorghiu-Dej, quanto con Ceausescu, il cinema rumeno ha espresso, come ogni paese socialista, assoluti capolavori realizzati da registi come Danieluc, Ciulei, Pintilie, Veroiu e Pita, di questi due il capolavoro “Nozze di pietra”, vincitore a Cannes nel 1972, peccato siano introvabili oggi, negando ai giovani una parte rilevante della cultura rumena, abbondano invece i dvd di film d’epoca socialista che raccontano la storia di Vlad Tepes Draculesti, alfiere dell’indipendenza valacca nel XV secolo, ridotto a vampiro dalla novellistica vittoriana di fine Ottocento. Oggi a vampirizzare i rumeni ci pensa la Banca Transilvania, le cui filiali a volte si trovano a pochi passi da alcuni dei numerosi busti eretti in omaggio a Tepes, entrambi suggello dell’odierna identità nazionale.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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