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Salvare o affondare il lavoro in Ticino?

Sinistra.ch accoglie un’analisi critica dell’iniziativa popolare “Salvare il lavoro in Ticino” a firma di Alessandro Lucchini, apparsa sul 1° numero di #politicanuova (luglio 2013) – leggibile online qui, quadrimestrale marxista della Svizzera Italiana edito dal Partito Comunista (PC).  

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Un comitato promotore patrocinato dai Verdi ha lanciato l’iniziativa popolare “Salvare il lavoro in Ticino”, la quale rivendica l’introduzione di salari minimi differenziati per settore e mansioni, dando pieno potere al Consiglio di Stato (CdS) di fissare un salario minimo su percentuale del salario mediano (1) nazionale. Il Dipartimento Economia e Finanze del Partito Comunista ha analizzato attentamente la proposta dei Verdi evidenziando principalmente tre punti critici che rendono l’iniziativa ambigua e controproducente per la classe lavoratrice ticinese.

1. Salario minimo fissato dal CdS basato su una percentuale del salario mediano

Lasciare che sia il CdS a fissare il salario minimo non è affatto (anzi!) garanzia di salari minimi dignitosi: basti ricordare che proprio di recente il CdS ha approvato l’entrata in vigore di salari minimi (da fame) di Fr. 3’000.– nei settori dell’industria e nei negozi con meno di dieci dipendenti.

Secondo il comitato promotore un vantaggio dell’iniziativa è la possibilità di effettuare dei cambiamenti nel tempo sul salario minimo, tenendo così eventualmente in considerazione l’aumento del costo della vita, ecc. Questa ipotesi rischia di essere totalmente teorica considerando la deludente politica del Canton Ticino sull’indicizzazione dei salari per i dipendenti pubblici. Inoltre questa libertà di manovra permetterebbe al Governo di ritoccare verso il basso i salari quando egli riterrà necessario “far ripartire” (come dicono loro!) l’economia: tutto questo senza la possibilità da parte della popolazione di opporvisi.

Molti testi legislativi in materia individuano al 65% la percentuale in riferimento al salario mediano svizzero come limite per fissare salari che non siano sotto il livello di povertà. Ci si può dunque aspettare che il CdS possa scegliere questo riferimento (com’è per esempio anche il caso per un simile testo di legge votato nel Canton Giura) contro un rapporto tra salario mediano ticinese e svizzero che è invece dell’85%. La grande differenza tra il futuro salario minimo e il salario mediano ticinese avrà il grave difetto di creare un enorme effetto di “ancoraggio (2)” verso il basso dei salari attuali, peggiorando così le condizioni sociali di gran parte dei lavoratori residenti.

2. Applicabilità solo in settori privi di CCL

L’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino” ha effetto solo su quelle imprese che non sono soggette ad un Contratto Collettivo di Lavoro (CCL) di applicazione obbligatoria o ad un CCL con salario minimo di riferimento esplicitato.

Nel caso un settore lavorativo sia già regolamentato da un CCL l’iniziativa in discussione non ha applicazione. Il salario versato abitualmente nel settore potrà dunque continuare ad essere inferiore a quello che verrebbe teoricamente fissato dall’iniziativa lanciata dai Verdi. La mancanza di una clausola che impedisca quest’ultimo aspetto potrebbe inoltre spingere la stipulazione di accordi contrattuali “bidone” con dei salari minimi inferiori a quelli teoricamente promossi dall’iniziativa, solo con lo scopo d’aggirare l’obbligo salariale. La creazione di nuovi CCL al fine di non dover sottostare alla nuova legislazione, renderebbe inutile l’iniziativa. Considerando la debolezza dei vertici sindacali elvetici in questo genere di trattativa, il rischio appare molto elevato.

Inoltre, è da considerare che i settori più coinvolti dal dumping salariale dispongono già di un CCL di riferimento rendendo inutile la nuova legge avanzata tramite l’iniziativa in questione.

3. Differenziazione tra settori e mansioni

La proposta dei Verdi vuole applicare un differente minimo salariale tra settori e mansioni. Come comunisti intendiamo invece lottare per un salario minimo dignitoso uguale per tutti, poiché il lavoro come elemento di valorizzazione dell’essere umano, non può essere suddiviso tra mestieri “migliori” o “peggiori”. Le definizioni attuali di lavoro “migliore (3)” e lavoro “peggiore” sono basate sulle leggi di mercato del sistema economico capitalista che verrebbero stravolte in una matura economia socialista. E’ evidente che nella fase odierna come comunisti possiamo (ancora) accettare una certa differenziazione di salario, ma solo se questa avviene verso l’alto.
Se s’inizia, tramite l’iniziativa dei Verdi, a legittimare di differenziare la dignità (e quindi la loro minima remunerazione) delle diverse professioni, si divide unicamente la classe lavoratrice indebolendola nel suo naturale confronto con il padronato.

La dignità del lavoro, e quindi anche la sua remunerazione minima, non può essere differente tra lavoratori che eseguono una mansione manuale (ad esempio il personale di pulizia) e i professionisti che effettuano operazioni di dubbia moralità sul mercato finanziario. Un salario dignitoso deve essere dunque garantito a tutti senza discriminare chi fa un lavoro considerato comunemente “peggiore”.

4. Conclusione

La costante precarizzazione delle condizioni sociali e materiali dei lavoratori ticinesi, rende necessario l’introduzione di un salario minimo capace di ridare dignità al lavoro. Quest’urgenza non deve però portare alla formulazione di presunte soluzioni, le quali, strizzando l’occhio al padronato locale, rischiano di avere l’effetto opposto all’obiettivo sperato.

A questo proposito la soluzione avanzata dall’Unione Sindacale Svizzera (USS) per un salario minimo di Fr. 4’000 per tutti, sopperisce in buona parte ai difetti dell’iniziativa dei Verdi e permetterebbe un primo passo verso un vero miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori ticinesi. Accanto alla rivendicazione di un salario minimo garantito non bisogna mai smettere di lottare per fermare quella sempre più grande fetta di ricchezza prodotta che si trasferisce in profitto e che è sottratta al lavoro. Solo attraverso una parallela azione di allargamento della massa salariale totale e d’inserimento di vincoli salariali limitativi verso il basso e verso l’alto (4), avremo la possibilità di iniziare una vera politica di ridistribuzione della ricchezza.

Il commento

Il rischioso marketing politico verde
Perché i Verdi hanno lanciato questa iniziativa? Non è solo un modo per uscire dal clichè secondo il quale gli ecologisti si occuperebbero solo di ambiente (peraltro falso), potrebbe bensì trattarsi di una mossa di marketing politico utile per approfondire il fossato con il resto della sinistra, secondo l’impostazione strategica auspicata dai vertici del partito.

La tempistica con cui l’iniziativa è stata lanciata, peraltro, lascia presumere che essa sia stata proprio concepita come “alternativa” all’analoga proposta dell’USS. I più maligni, inoltre, potrebbero qui anche immaginare che la volontà sia stata quella di creare un “caso” (dall’affaire 1° maggio con Saverio Lurati, al niet dei partiti di sinistra da strumentalizzare comunicativamente) mediatizzando così la tesi secondo cui una “buona proposta” dei Verdi venga ostacolata da una sinistra “ultra-ideolgica”, “settaria” e “retriva”.

La realtà è però ben diversa: il Partito Comunista ha sempre saputo sostenere le buone idee, senza badare alle etichette e alla provenienza; se i Verdi ci avessero coinvolto nella stesura dell’iniziativa avremmo quindi portato il nostro contributo per migliorarla e costruire su di essa un’ampia convergenza progressista e sindacale.

Così non è stato e forse non è un caso: tutta questa situazione per i Verdi sarà una geniale mossa di marketing politico immediato, ma sul lungo periodo non favorirà di certo la costruzione di una cultura sensibile ai temi sociali ed ecologici, che sia capace di egemonia nella società. E se questo non avviene, significa spostare a destra i risultati elettorali, ma soprattutto favorire una mentalità collettiva per nulla progressista. In quest’ottica il Partito Comunista, rimettendo in discussione almeno in parte alcuni miti laburisti e produttivistici della sinistra storica, sta discutendo al suo interno sull’eco-socialismo e sulla necessità di coniugare il marxismo con le istanze ecologiste.

Alessandro Lucchini

Note:

(1) Il salario mediano di un settore ci indica il salario percepito almeno dal 50% della popolazione attiva. Se il salario mediano del settore della vendita in Ticino è di Fr. 4’176.– il 50% dei lavoratori nel settore riceve meno di Fr. 4’176.–, mentre l’altra metà dei lavoratori del settore ne riceve di più.

(2) Normalmente ci si aspetta che l’effetto di diminuzione dei salari dovuto all’effetto di “ancoraggio” sia tanto più grande, quanto più elevata è la differenza tra il salario attuale e il salario minimo di riferimento.

(3) Qui per salario “migliore” si intende quello a cui siamo abituati attribuire un salario elevato.

(4) L’iniziativa che vuole introdurre un rapporto 1:12 tra i salari più alti e i più bassi di una singola azienda, e l’approvazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa Minder sono esempi concreti di una limitazione salariale verso l’alto.

Alessandro Lucchini

Alessandro Lucchini, economista, è vice-segretario del Partito Comunista (Svizzera) e membro della World Association of Political Economy (WAPE). Dal 2012 è consigliere comunale, attualmente nella città di Bellinzona.

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