/

Wikileaks: in piazza Tiananmen nessuno spargimento di sangue, così si evince dai cablogrammi

Sinistra.ch propone la traduzione – a cura di Aris Della Fontana – di un articolo (Wikileaks: no bloodshed inside Tiananmen Square, cables claim) apparso su “The Telegraph” nel giugno 2011, a firma di Malcolm Moore. Siamo di fronte ad un elaborato che contribuisce a gettare maggiori luci a proposito dell’Ottantanove pechinese, nella direzione di una maggiore aderenza alla reale dinamica fattuale. 

°°

I cablogrammi dell’ambasciata statunitense a Pechino dimostrano il mancato spargimento di sangue in Piazza Tiananmen, al momento del confronto – 22 anni fa – fra autorità cinesi e studenti dimostranti.

I cablogrammi, ottenuti da WikiLeaks e pubblicati in esclusiva dal Daily Telegraph, confermano, in parte, a proposito delle prime ore del 4 giugno 1989, la versione del governo cinese, il quale ha sempre insistito attorno al fatto che i soldati non massacrarono i dimostranti in Piazza Tiananmen.

I cablogrammi evidenziano come i soldati cinesi aprirono il fuoco sui protestanti fuori dal centro di Pechino, quando questi stavano fuggendo dalla parte occidentale della città verso la piazza.

Il 3 giugno furono inviati tre cablogrammi dall’ambasciata statunitense – nelle ore precedenti alla soppressione di quest’ultima -, quando i diplomatici presero coscienza che la resa dei conti finale tra manifestanti e soldati era pressoché incombente.

I cablogrammi descrivono i “10,000-15,000 soldati armati e muniti di caschi” che entrarono in città, alcuni dei quali “muniti di armi automatiche”; nel frattempo, “corpi d’élite avio-trasportati” e “unità corazzate”, ebbero a salire dal sud.

L’esercito dovette affrontare “un elaborato sistema di blocchi”, descritto in un cablogramma del 21 maggio 1989, che permise agli studenti “di controllare gran parte del centro di Pechino”. I diplomatici osservarono che “vi erano autobus disposti in modo da formare blocchi stradali” e che gli studenti avevano assicurato che l’esercito non sarebbe riuscito ad attraversarli. “Ma ne dubitiamo”, aggiunse un altro cablogramma. Gli studenti usarono anche squadre munite di motociclette al fine di comunicare con i luoghi dei blocchi stradali, mandando rinforzi dove necessario.

I cablogrammi hanno rivelato che, nel mentre dell’avanzamento delle truppe, lo staff diplomatico venne ripetutamente invitato a “stare a casa”, a meno che non fosse stato impegnato nel riportare notizie dal fronte. “La situazione nel centro della città è molto confusa”, riporta un cablogramma del 3 giugno. “Funzionari politici, all’Hotel Pechino, riferiscono che le truppe stanno spingendo una grande folla a est, sulla Chang’an avenue. Sebbene tali truppe sembra non stiano sparando sulla folla, essi riportano di sparatorie dietro le truppe provenienti dalla piazza”.

All’interno della piazza un diplomatico cileno fornì agli omologhi statunitensi una testimonianza oculare circa le ore finali del movimento pro-democratico; un cablogramma del luglio 1989, in tal senso, riporta: “egli vide i militari entrare nella piazza e non scorse alcuna sparatoria di massa sulla folla, sebbene si sentissero alcuni colpi sporadici. Disse che la maggior parte delle truppe che entrarono nella piazza erano armate solamente con un equipaggiamento anti-sommossa – manganelli e mazze di legno; a loro volta queste truppe erano coperte da soldati armati”.

Il diplomatico, posizionato vicino ad una stazione della Croce Rossa interna a Piazza Tiananmen, riferì d’una linea di truppe che la circondava e che causava il panico dello staff medico, il quale si dava alla fuga. Egli, tuttavia, affermò che “non c’era una sparatoria di massa sulla folla di studenti che si trovavano nei pressi del monumento”.

Secondo alcuni documenti interni del Partito Comunista Cinese (PCC), pubblicati nel 2001, 2’000 soldati della 38° armata, assieme a 42 veicoli armati, cominciarono lentamente a spargersi sulla piazza, da nord verso sud, alle 4.30 del mattino, in data 4 giugno. In quel momento, all’incirca 3’000 studenti erano seduti attorno al Monumento agli Eroi del Popolo, posizionato sul bordo meridionale della gigantesca piazza, vicino al mausoleo del Presidente Mao. I leader della protesta, incluso Liu Xiaobo, il vincitore del premio Nobel per la Pace dello scorso anno [2010] (1), esortarono gli studenti a fuoriuscire dalla piazza; il diplomatico cileno riferisce che, “una volta raggiunto un accordo concernente il ritiro degli studenti, che si presero per mano al fine di costituire una colonna, questi ultimi lasciarono la piazza attraverso l’angolo sud-est”. La testimonianza contraddice i reportage di molti giornalisti allora presenti a Pechino, i quali descrissero soldati che “caricavano” civili disarmati, e suggerisce che il numero dei morti nella notte potrebbe essere molto inferiore rispetto a quello delle migliaia in passato creduto.

Nel 2009, James Miles, allora corrispondente BBC a Pechino, ammise di aver “trasmesso l’impressione sbagliata” e che “non vi è stato alcun massacro in Piazza Tiananmen. I manifestanti che si trovarono ancora in piazza quando l’esercito vi accedette poterono evacuarla dopo le negoziazioni con le truppe riserviste. Non vi fu alcun massacro di Piazza Tiananmen, ma vi fu un massacro a Pechino”.

I feroci combattimenti, invece, ebbero luogo presso Muxidi, circa tre miglia ad ovest della piazza, dove migliaia di persone si radunarono spontaneamente nella notte del 3 giugno per fermare l’avanzata dell’esercito.

Secondo i Tiananmen Papers, una raccolta di documenti del Partito Comunista Cinese, i soldati cominciarono ad usare le munizioni intorno alle 10.30, dopo aver tentato, senza successo, di disperdere la folla con proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Incredula, la folla provò a scappare, ma venne ostacolata dai suoi stessi blocchi stradali.

I cablogrammi rivelano anche la misura in cui le proteste degli studenti ottennero sostegno popolare e, come, per diverse settimane, i manifestanti occuparono effettivamente l’intero centro di Pechino, ponendo una sfida all’esistenza stessa del Partito Comunista Cinese.

E, in tal ottica, un cablogramma del 21 maggio 1989 riferisce che, presso il consolato statunitense a Shenyang, giunse un’anonima telefonata comunicante che, Ni Zhifu, presidente dei sindacati cinesi, aveva condannato la legge marziale applicata nella capitale e aveva avvertito che, se gli studenti non fossero stati trattati con maggiore rispetto, avrebbe realizzato uno sciopero generale in grado di paralizzare la Cina.

(1) N.d.T.

*  Il traduttore ringrazia, per l’utile supporto in ambito interpretativo, Dario ed Erica Ciceri, Antonio Franchini e Alberto Togni.

Lascia un commento