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Le lettere della vergogna e la morte di Mossul

Rawaafid, nazarat. Potremmo, dovremmo, iniziare da queste due parole, da Mossul, ma forse è meglio partire dal Mediterraneo, partiamo da Gaza, anzi da Ramallah, là dove mai hanno sventolato le bandiere di Hamas e oggi garriscono al vento. La Resistenza di Hamas a Gaza unifica politicamente i palestinesi. Le bombe israeliane uccidono donne e uomini, spargono sangue, distruggono case e annientano la politica. I partiti palestinesi stavano arrivando a un’intesa unitaria per un nuovo governo che avrebbe dovuto portare alle elezioni presidenziali e parlamentari e Benjamin Netanyahu ha distrutto tutto, deciso a lasciare in coloro che sopravvivranno alle macerie e alle tombe solo l’odio, quell’odio e quel risentimento che negano ogni convivenza e che fanno di Hamas il simbolo della Resistenza. Sono sempre stato contrario ad Hamas, la loro idea di un emirato islamico per la Palestina è assurda, da secoli quella terra è popolata da tre fedi, da tre religioni. Al–Quds, Gerusalemme la santa, è di tutti i figli di Ibrahim – Abramo.

Intanto un emirato islamico è nato sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi. L’esistenza di uno stato è determinata dal controllo politico, economico e amministrativo di un territorio. Lo stato islamico con capitale Mossul esiste. Questo non vuol dire che le Nazioni Unite debbano riconoscerlo, ma non si può negarne l’esistenza. Fingere che non esista è assurdo, significa non voler guardare quello che sta accadendo. Così come è assurdo parlare di qaidisti. Al Qaeda non esiste più da molti anni e su cosa sia stata occorrerà un giorno fare chiarezza. Lo stato islamico è quella immediata espressione di un integralismo fanatico, fondamentalista, jihadista, takfirista che odia i cristiani e gli sciiti, senza riconoscerli come fratelli abramitici e ugualmente ai sunniti parte del Medioriente.

Occorre capire come si sia arrivati, tra Siria e Irak, alla nascita di tale stato che ha in Mossul la capitale. In estrema sintesi proviamoci. L’Occidente dalla primavera 2011 finanzia l’integralismo islamico internazionale per distruggere lo stato arabo-socialista siriano, la copertura viene da tutti gli alleati degli Stati Uniti nella regione, anche da quell’Arabia Saudita che sta schierando in questi giorni trentamila soldati, mai successo prima, nel cuore riarso del deserto, là dove più o meno corre il mal definito confine tra Arabia Saudita e Irak. I combattenti integralisti antisiriani, perché tali sono, altro che resistenti, sono in minima parte siriani e in maggioranza cittadini di ogni parte del mondo, non solo provenienti dalle nazioni islamiche. Respinti lontano da Damasco nel 2012-13, hanno deciso di passare la frontiera irakena, consapevoli della fragilità statuale nata con l’occupazione statunitense. In Irak infatti la nazione è stata divisa in tre, con la solita logica di irresponsabile sminuzzamento etnico-religioso che si mostra da anni, in ogni parte della terra, la più colossale stupidaggine geostrategica dell’ultimo quarto di secolo, ma che alla Casa Bianca, quale che sia il presidente, perseguono con un’insistenza tanto ciecamente convinta, quanto palesemente fallimentare. Una nazione per due terzi formata da sciiti si trova così un nord in mano curda, che si amministra autonomamente, sventola la propria bandiera, rifiuta ogni istanza unitaria e dichiara Kirkuk propria capitale, un secessionismo rafforzato ora dalla nascita dello stato islamico. Al Sud gli sciiti provano a organizzare la quotidianità, in assenza del potere centrale, il governo di al Maliki infatti, privo di idee prima ancora che di efficacia, gestiva fino a qualche tempo fa con fatica solo l’Irak centrale e ora, dopo la nascita dello stato integralista di Mossul, ciò che ne avanza, da Bagdad verso il confine iraniano.

È in questo contesto che nasce lo stato integralista, il quale tra le sue prime azioni ha distrutto e abbattuto le moschee sciite. Oltre dieci solo a Mossul. Ma questo è solo l’inizio. Nessuno dice che nel terribile silenzio della parte più profonda delle notti di Ramadan qualche integralista sunnita su incarico del governo passa di casa in casa e mette le lettere “R” e “N” sulle porte, ovvero rawaafid e nazarat, rinnegati e nazzareni, ovvero sciiti e cristiani. Ai primi viene chiesto di convertirsi o morire, ai secondi di convertirsi o pagare la jizya, la tassa prevista per “ahl al-dhimma”, le popolazioni protette non parte dell’Umma. I cristiani che scappano vedono scritto sulle loro porte, oltre a “nazarat”, “aldaula alislaamija” ovvero “proprietà dello stato islamico”, chi resta “saakin”, ovvero “abitante” e quindi soggetto al pagamento della tassa. Anche questa notte calerà il buio e il silenzio su Mossul e una mano insanguinata e desiderosa di nuovo sangue scriverà in arabo le lettere “R” e “N” sulle porte di altre case della città. Mentre il mondo tace indifferente.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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