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La censura in TV

A-ALBERTI-BN-03bL’esclusione dei comunisti dalla trasmissione di martedì, 4 febbraio (“60 minuti”) della nostra TV, conferma le perplessità e le critiche a questo servizio pubblico da me mosse nel contributo apparso su questo quotidiano il 10 gennaio scorso.  Il fatto di oscurare un partito, attivo a livello istituzionale, estromettendolo da un programma nel quale si vuol dare visibilità ai giovani e promuoverli, non fa onore neanche  al conduttore Reto Ceschi, sin qui apprezzato per la sua imparzialità e pacatezza.

Nella serata citata si è così proposto un confronto politico  zoppo nelle ali che delimitano un centro, appiattito su opportunismi più che  su valori, con da un lato la destra estrema di connotazione neofascista dei leghisti e dall’altra parte un giovane socialista, di tinta rosa pallido, che certamente non sarà dispiaciuto al compagno e neodirettore dell’ente, signor Canetta. E’ stato al limite del disgusto dimostrare platealmente, solo alcune settimane fa, che per far carriera e raggiungere i vertici a Comano si devono fare favori a CL e censurare  una intervista a Franco Cavalli, dove l’oncologo riferiva su quanto si fa a Cuba nella sanità. Arrogante è il fatto che solo dopo pochi giorni, si aggiunge questo sopruso. La nostra TV esclude i comunisti e i discorsi di simpatia e solidarietà con Cuba (e non solo se pensiamo alla Palestina) per inchinarsi servilmente, perché  nessuno glie lo chiede, al potere imperiale degli Stati Uniti, all’ombra del quale si ripara un sistema finanziario aggressivo e rapace che impoverisce sempre più i poveri, vuole sopprimere il ceto medio, il  solo garante della democrazia, che scivola verso l’indigenza e arricchisce sempre più i già abbienti. Questo nostro ente si comporta come se il Ticino non fosse più parte della Confederazione quando viola in modo grave il principio di neutralità e reiteratamente si colloca in un campo politico dipendente da una grande potenza.

I lettori si chiederanno come può un radicale, come dichiara d’essere chi qui scrive, difendere con ostinazione ed acribia un partito comunista che per vocazione e missione combatte la borghesia liberale, ritenendola una malerba da estirpare. A prescindere dalla mia incondizionata ammirazione per il poeta Pablo Neruda, l’astrologa Margherita Haaks, l’architetto Oscar Nyemejer che pubblicamente si sono dichiarati comunisti fino alla loro scomparsa, ciò dipende dai maestri che ho avuto, ai quali ancora oggi mi riferisco. Nella prima metà del secolo scorso, l’azione dei tre partiti storici ticinesi, era in rapporto armonico col nome che si erano dati. In sintesi e per meglio esprimere il concetto, le etichette sulle bottiglie corrispondevano al vino che contenevano. Per i radicali i valori illuministi della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà erano saldi nelle coscienze dei militanti. Uno di questi miei maestri fu il sindaco di Locarno Giovanni Battista Rusca. Il 29 novembre 1940, con un suo intervento magistrale al consiglio nazionale contrario alla proibizione nella Confederazione del partito comunista, al momento della votazione e considerando la larghissima maggioranza favorevole al bando dei comunisti, in segno di protesta per l’ atteggiamento liberticida, abbandonò sdegnato l’aula del parlamento. Non è difficile intuire ciò che ha determinato un comportamento di un uomo coerente con i principi e i valori liberali. GB Rusca era una persona colta. Aveva intuito che lo spirito utilitarista dilagante e devastante nell’occidente doveva essere moderato da chi assumeva in modo forse estremo il principio dell’uguaglianza abbinandolo alla solidarietà. Il marxismo, in fin dei conti, è figlio dell’illuminismo e questo GB Rusca lo sapeva.

Arnaldo Alberti

(Articolo pubblicato sul Corriere del Ticino, 22 marzo 2014)

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