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Presidenziali negli USA: nuova ondata di “Obamania”. Aperta la strada ad altre illusioni?

Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti (USA) sono trascorse da poco. Anche il nostro portale vuole provare ad analizzare, naturalmente da una prospettiva di sinistra e a qualche giorni di distanza, la situazione venutasi a creare in questo paese che occupa la posizione di vertice nelle organizzazioni di tipo imperialistico, quali la NATO, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. Abbiamo assistito per settimane a un’orgia mediatica impressionante su questo appuntamento elettorale: se da un lato è comprensibile, visto che quanto deciso a Washington si ripercuoterà anche alle nostre latitudini, dall’altro è indice di quanto anche i paesi del vecchio continente siano subalterni, culturalmente oltre che economicamente, ai diktat nordamericani. Ci sono persone che solitamente non s’interessano di politica nel proprio paese che, quasi per moda, in queste occasioni si atteggiano da esperte della Casa Bianca, fomentando peraltro non poca confusione (e tante illusioni). Cerchiamo quindi di fare con questo nostro articolo un po’ di chiarezza.

Quale contesto?

Iniziamo con il delineare il contesto sociale nel quale i cittadini americani sono andati al voto. Queste elezioni erano segnate dalla crisi economica del modello di sviluppo capitalistico statunitense caratterizzato da un forte deprezzamento della forza lavoro, da dilagante disoccupazione, da una netta riduzione del livello di vita delle classi sociali subalterne e degli immigrati (vittima anche di rigurgiti razzisti, nonostante il colore della pelle del presidente Barak Obama), nonché una costante e pericolosa tendenza alla guerra da parte dell’establishment di Washington. Quello che salta all’occhio fra i due principali candidati al ruolo di Presidente è, insomma, il loro programma politico: le differenze sono microscopiche e solo chi, per partito preso, si schiera per l’uno o per l’altro non poteva notare. Obama per il Partito Democratico e Mitt Romney per il Partito Repubblicano portano infatti avanti sostanzialmente le medesime linee guida. A differenziarli sono le lobby che li sostengono: non è un mistero infatti che negli USA vi siano forti controversie fra i monopoli che gestiscono l’attuale crisi economica. I repubblicani sono appoggiati soprattutto dal grande capitale industriale, interessato agli armamenti e alle guerra tradizionale, mentre i democratici sono appoggiati principalmente dal grande capitale finanziario, interessato maggioramente ad operazione neocoloniali di tipo economico e speculativo. Insomma: le sfumature tra Obama e Romney non dovrebbero intrappolare gli elettori progressisti nella falsa alternativa di scegliere il male minore, eppure a questo a ridotta anche ampia parte della sinistra occidentale, sempre più incapace di elaborare alternative.

Cos’è la destra? Cos’è la sinistra?

Nel nostro paese si tende ad analizzare la politica statunitense con gli occhi europei e ci si ostina a vedere un presunto “centro-destra” in Mitt Romney e un presunto “centro-sinistra” in Obama. Si tratta di paradigmi in realtà privi di senso e superficiali, soprattutto in una società come quella statunitense che è ben lungi dal rispettare i più basilari precetti liberal-democratici, basti pensare che negli USA il diritto di voto a suffragio universale non è del tutto garantito e che l’elezione del Presidente è organizzata in modo tale che vi sia la matematica certezza che un partito di opposizione al duopolio democratico-repubblicano non possa nemmeno lentamente avvicinarsi a contendere la poltrona più ambita. Come sostiene l’ONG Roots Action forte negli States di 180mila attivisti sul territorio: “il nostro sistema elettorale è rimasto fermo al 18° secolo!”. Che Romney sia definibile di destra non c’è dubbio, potremmo dire anche di estrema destra, secondo i nostri parametri; anzi: probabilmente un personaggio simile, da noi sarebbe allontanato persino dalla frangia più radicale dell’UDC di Blocher. Ma che Obama possa essere definito di “centro-sinistra” farebbe accapponare la pelle allo stesso Presidente nordamericano. Non si può non vedere, infatti, come durante la permanenza di Obama alla Casa Bianca i grandi conglomerati economici abbiano beneficiato di salvataggi per evitare la bancarotta, mentre i lavoratori hanno subìto un’aggressione che ha portato impoverimento e disoccupazione, nonché il depauperamento dei fondi pubblici a scapito delle pensioni, dell’assistenza sanitaria, del welfare, ecc. La retorica delle differenze tra i due candidati appare così come fumo, quando si osservano i fatti: il candidato democratico, nonostante un incomprensibile e ormai screditato “Premio Nobel per la Pace”, ha continuato la guerra in Medio Oriente iniziate da George Bush ma ha pure dato il là ad altre carneficine, come quella contro la sovranità della Libia per saccheggiarne le risorse naturali e il tenativo di colpo di stato che sta finanziando in Siria e ora sta seriamente destabilizzando la pace nel mondo con i piani contro l’Iran. In America Latina, Obama ha realizzato due golpi fascisti contro i presidenti democraticamente eletti di Honduras e Paraguay e perpetua l’embargo criminale contro il popolo cubano, oltre a occupare illegalmente parte del territorio di Cuba con la base militare di Guantanamo, dove ogni giorno vengono perpetrate oltraggiose violazioni dei diritti umani contro prigionieri incarcerati senza regolare processo. Nell’ambito della politica interna, il tanto sbandierato piano sanitario Medicare apre essenzialmente nuovi campi per lo sfruttamento commerciale della salute e per la redditività dei gruppi monopolistici, come dimostra il recente acquisto di Amerigroup da parte di WellPoint. Nel frattempo sono stati tagliati tutti i servizi di base per i ceti più indigenti. L’attacco costante contro il welfare e la posizione rispetto ai lavoratori immigrati, sono elementi che ci consentono di asserire che Obama ha inteso attrarre con vane promesse l’elettorato più progressista facendo cose che neppure il socialdemocratico più moderato in Europea avrebbe osato anche solo immaginare. Da qui dobbiamo trarre la conclusione che Obama è di destra, ma sicuramente di una destra più “equilibrata”  o “illuminata” rispetto al suo reazionario avversario.

L’opinione degli intellettuali

Intervistati dal quotidiano socialista tedesco “Neues Deutschland”, così si sono espressi tre esponenti della vita culturale statunitense. Noam Chomsky, linguista libertario, uno dei più noti intellettuali di sinistra degli USA ha ammesso che se vivesse in un cosiddetto “Swing State” avrebbe votato “contro Romney” (in sostanza avrebbe sostenuto Obama, anche se Chomsky preferisce non esprimersi così a dimostrazione dell’astio verso l’attuale presidente): “ma io non vivo e non voto in uno Swing-State, quindi posso o astenermi oppure – cosa che farò probabilmente – votare Jill Stein (la candidata dei Verdi, ndr.)”. Doug Henwood, scrittore di orientamento marxista e conduttore di una trasmissione radiofonica di dibattito economico presso la stazione radio progressista WBAI di New York, afferma provocatorio: “mi piacerebbe veder vincere Obama. Ma non perché politicamente egli sia meglio di Romney, bensì poiché così deluderebbe tanti suoi sostenitori acritici. Se nel 2008 avesse vinto McCain, i progressisti avrebbero piagnucolato e invece ci siamo beccati Obama e così è arrivato anche Occupy”. Mentre Kevin Gosztola, regista cinematografico, afferma: “il voto strategico per Obama propagandato dalla sinistra non lo condivido: non aiuta in nessun modo né allo sviluppo di un movimento di protesta dal basso né alla creazione di una terza forza a sinistra dei democratici. Tutto ciò scoraggia i cittadini a uscire dalle frontiere del Partito Democratico. Finché un democratico come Obama afferma con sicurezza che si può fidare del voto di sinistra, significa che non farà niente di sinistra e potrà guardare solo a destra”.

La sinistra USA divisa e ininfluente

I partiti di sinistra negli Stati Uniti sono esclusi di fatto dai media: nel paese che ama esportare la democrazia altrove, non esiste infatti alcuna legge sulla “par condicio” e un pluralismo degno di questo nome non è conosciuto (forse certi insegnanti alle nostre latitudini dovrebbero ricordarlo in classe ai nostri giovani, a cui viene propinato l’american way of life”. E’ così che i partiti di opposizione si trovano a muoversi in un contesto di forte difficoltà, non aiutato dal clima maccarthyista e anti-comunista che ancora si respira negli USA. Ad esempio, quanti di voi sapevano che i candidati alla presidente non erano solo i due noti, ma erano una decina? In pochi perché nessun media, anche nella libera e democratica Europa, ne ha mai realmente parlato. E così alcuni partiti della sinistra americana optano per il sostegno critico a Obama, altri per l’astensionismo e altri invece preferiscono offrire candidature alternative senza alcuna chance di vittoria, pur di farsi conoscere in quei pochi stati in cui riescono a presentare una lista e superare gli sbarramenti.

Il Partito Comunista degli Stati Uniti (CPUSA), su una linea socialdemocratica da anni, guidato dall’anziano Sam Webb, continua a sostenere il Partito Democratico come “meno peggio”, impedendo però così al suo partito di emergere nel movimento di lotta e intercettare il malcontento sociale. I comunisti del Partito Socialismo e Liberazione (PSL), che raggruppa molti giovani e che è forte del movimento contro la guerra e nei campus, va invece contro tutti ed è riuscito a presentare la candidatura della 28enne sindacalista studentesca Peta Lindsay in ben 13 stati. Il partito marxista-leninista “Freedom Road Socialist Organisation” (FRSO) si limita a un appello generico a “votare contro Romney e a costruire la mobilitazione dalle piazze”. I Verdi presentano una propria candidata, Jill Stein, di protesta e così fa in ben pochi Stati anche il Partito Socialista degli Stati Uniti.

Fra “obamiani” e scettici

La neonata rivista giovanile ticinese “d+ magazine” ha lanciato alla vigilia del voto un piccolo sondaggio fra i giovani su Facebook: la maggioranza ha votato Obama, probabilmente senza nemmeno conoscere la sua reale proposta politica ma come reazione all’odioso Romney (che infatti non ha ricevuto nemmeno un suffragio) e una piccola parte ha votato Lindsay, riconoscendo che anche negli USA vi sono giovani che non si riconoscono nel sistema. Fra gli “obamiani” ticinesi, molto attivi (solo?) su Facebook, troviamo la giornalista della RSI (in quota liberale-radicale) Franca Verda-Hunziker, che da giornalista imparziale esalta il presidente americano in modo esasperato. Ma non è sola: Gherardo Pea commenta il discorso di investitura di Obama con queste parole: “l’ho ascoltato con piacere”, afferma l’ex-dirigente del defunto PSA, l’ex-Partito Socialista Autonomo (che una volta era marxista), dimenticando forse che Obama in quel discorso ha pure esaltato la superiorità dello spirito americano in un rigurgito nazionalista e moralista che nessun socialista ticinese avrebbe mai osato pronunciare.

Ben diversa da quella di Pea e Verd-Hunziker è l’opinione di Janosch Schnider, sindacalista studentesco del SISA, che analizza in questo modo beffardo la “Obamania”: “In Europa avevamo un fermento politico enorme, e ora – proprio da quando gli USA ci hanno egemonizzati completamente – stiamo diventando come loro. E quindi Obama è un grande uomo perché aldilà di quello che ha fatto, o di quello che vorrà fare – che è molto relativo – ci ha offerto un bello show televisivo, una bella narrazione, una bella faccia senza troppe rughe, et cetera. E naturalmente un happy ending, come nei loro film che ci hanno ben abituati. E poi qui non parliamo delle (nostre) nuove generazioni, quelle cresciute coi videogiochi: chi non vorrebbe vedere il buono trionfare contro il mostro che ti trovi contro all’ultimo livello? È stato un bel reality show, alla nostra gente è mancato il diritto al televoto, ma ha vinto il più simpatico, come si sperava! I contenuti sono del tutto relativi”.

Severo anche il commento di Massimiliano Ay, segretario del Partito Comunista che non nasconde le sue simpatie per il PSL negli States: “noi marxisti sappiamo ancora fare analisi e questo ci impedisce di entusiasmarci per delle quisquilie che solo degli idealisti possono ritenere importanti: il fatto che Obama sia nero è interessante, certo, ma conta poco di fronte al fatto che ad esempio la sua carriera è tutta sponsorizzata dalla Zionist Power Configuration, una importantissima lobby israeliana di estrema destra”. Opinione totalmente in contrasto con quella del Consigliere di Stato del Partito Socialista Manuele Bertoli che, dopo aver lodato il Nobel per la pace all’Unione Europea, oggi si spertica nelle lodi a Obama con degli articoli (peraltro abbastanza superficiali) sul portale ticinese “LiberaTv”.

Se andiamo nella vicina Italia risalta il commento del filosofo Costanzo Preve che commenta: “L’obamania è una sorta di wishful thinking, come direbbero gli inglesi, cioè una forma di subordinazione e di interiorizzazione della collocazione della sinistra nell’impero americano; per cui la sinistra vorrebbe un imperatore buono invece che cattivo, preferisce Traiano anziché Nerone. L’obamania non è una riflessione sui rapporti fra l’Europa e l’impero americano, ma è semplicemente una forma di interiorizzazione della subalternità. Questa è una delle ragioni per cui non mi interessa più la sinistra”. Dipende quale sinistra, verrebbe da dire… sentiamo quindi del responsabile esteri del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), che di sinistra se ne intende, Fausto Sorini, secondo il quale: “Le elezioni negli Stati Uniti sono sicuramente il processo elettorale più mediatizzato che esista al mondo e sono accompagnate nei nostri Paesi da una persistente campagna ideologica che presenta gli USA come una delle democrazie più avanzate al mondo”; in realtà tale sistema elettorale “è scientificamente programmato per mantenere intatto il potere delle classi dominanti e per eternizzare il potere dei due grandi centri politici: il partito democratico e il partito repubblicano.

Essi competono, è vero, a volte anche ferocemente, su questo o quell’aspetto della politica contingente, ma dentro una dinamica di alternanza che infine converge nel sostegno bipartizan e concertativo ai capisaldi del sistema”. Per quanto concerne un bilancio specifico su Obama, Sorini è esplicito: la presidenza Obama, accolta da settori ampi della sinistra internazionale come portatrice di un’autentica svolta progressiva, è stata in realtà una seria di “illusioni che si sono clamorosamente infrante”: Obama ha iniziato la guerra di aggressione alla Repubblica Araba Socialista Popolare di Libia, ha progredito nell’accerchiamento militare della Cina e nelle ingerenze militari in Siria, senza contare le minacce di guerra aperta all’Iran, l’aumento sostanzioso delle spese militari (che solo negli ultimi 6 mesi sono cresciute del 13%), e ha dimostrato nessuna volontà di porre limiti seri allo strapotere del capitale finanziario negli affari interni e internazionali. Per il comunista italiano “la rielezione di Obama è avvenuta (con uno scarto minimo del 2%), più che sull’onda di speranze ed emozioni paragonabili a quelle del 2008, in buona parte per il timore che i settori più deboli della popolazione hanno avvertito nei confronti del’aggressività razzista e fascistoide degli oppositori di Obama”.

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