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Venezuela, un esempio di partecipazione

La propaganda antichavista ha agito fortemente su tutta la stampa europea nei giorni delle elezioni per il nuovo parlamento venezuelano a fine settembre 2010, elezioni per altro vinte dal PSUV, il partito socialista unito del Venezuela. Al presidente Chavez vengono attribuite ogni sorta di nefandezza, a partire da presunte responsabilità di un deterioramento delle condizioni di vita, economiche e sociali, dei cittadini, che alimenterebbero la criminalità. Tutto assolutamente falso. La stampa francese nel 1996 così documentava la vita in Venezuela e in particolare a Caracas, due anni prima della vittoria di Chavez: “furti nelle strade e rapine sui mezzi di trasporto pubblici, almeno 80 morti ogni fine settimana, inflazione al 1000% annuo che moltiplica la povertà sempre più dilagante”. L’inflazione oggi è a livelli infinitamente più bassi, due e non quattro cifre, la povertà è drasticamente ridotta, i morti sono molti meno, ma l’opposizione antichavista venezuelana blatera che oggi la situazione sia peggio di prima del ’98. Prendiamo in considerazione alcuni dati, ancora una volta forniti non dal governo bolivariano, ma da fonti occidentali. Nel 1998 il 60% dei venezuelani era povero e il 25% indigente. Restava escluso il 15% formato dalla classe media e dai ricchi, quelli che avevano sempre comandato e non avevano mai pagato le tasse. Chavez impone che paghino le tasse, per la prima volta nella storia della nazione e dodici anni dopo – nel 2010 – i poveri sono il 23% della popolazione e gli indigenti il 5%. Commento non sarebbe necessario, a patto che si sia un buona fede. Cresciuto il numero di persone che hanno una vita dignitosa, quella piccola percentuale di società che vive di furti e di espedienti si ritrova oggi in una società più ricca e con più soldi, quindi con più possibilità per delinquere a danno di donne e uomini che hanno raggiunto la dignità. In ogni caso, come documentato, i reati da quando esiste il governo bolivariano sono diminuiti, certo non scomparsi. Ma d’altronde il governo crede che l’opportunità da offrire sia quella del pieno recupero sociale dei barrios, non la repressione armata. Scuole, sanità, case in muratura, terreni agricoli abbandonati da decenni assegnati a campesinos senza terra, sarebbe lungo documentare quanto realizzato e quanto sta per esserlo. Tutto ciò è davvero interessante, soprattutto se messo a paragone con la considerazione strombazzata in Occidente rispetto a un presunto atteggiamento autoritario di Chavez, che in realtà anche in questo caso non corrisponde assolutamente al vero. Certo nel governo vi è chi creda necessario utilizzare maggiormente l’esercito nella repressione del crimine, come per altro farebbero tutti i governi europei, ma proprio Chavez insiste nel ritenere che non la violenza, ma la cultura, la partecipazione e il recupero sociale siano le migliori, più profonde e durature armi, quelle davvero vincenti. Per altro nel caso di un progetto repressivo del crimine occorrerebbe coinvolgere l’esercito e non la polizia, perché grazie a un deleterio sistema esasperatamente federalista ereditato dall’epoca prebolivariana, in Venezuela esistono 135 corpi di polizia, uno per ogni regione o grosso quartiere delle città più importanti, controllati dai governatori locali. Quelli delle regioni di confine con la Colombia, oppositori del governo, spesso dichiaratamente reazionari o fascisti, incentivano l’immigrazione dalla Colombia. Si stima che in Venezuela vivano 4 milioni di colombiani, nella stragrande maggioranza ottime persone, ma all’interno di questa comunità si nascondono, spesso coperti dai politici antichavisti, narcotrafficanti e squadroni della morte che non solo coprono e incentivano il crimine e lo spaccio, ma anche organizzano l’uccisione di attivisti del PSUV. Il celebre narco – paramilitare fascista colombiano Gonzales, arrestato nel 2008, aveva documenti rilasciati dallo stato venezuelano di Zulia e lascipassare della locale polizia, uno stato governato dall’opposizione. Anche nella stessa Caracas, nei quartieri amministrati dalla destra, questi gruppi eversivi e criminali hanno l’appoggio politico che permette loro di aprire bar e ristoranti, che poi utilizzano come copertura e base per il coordinamento di furti, rapine e spaccio, ne consegue che queste persone abbiano di conseguenza una certa familiarità con le armi e contribuiscano agli omicidi che insanguinano la capitale. Ulteriore dimostrazione del fatto che laddove la presenza del PSUV sia forte e massiccia e il controllo politico del territorio radicato, attraverso iniziative sociali capillari e diffuse, la criminalità è quasi nulla, come nei barrios carachegni di Guaitre, Guarenas e 23 gennaio. Molto si potrebbe ancora scrivere e documentare, ma quanto esposto offre in ogni caso sinteticamente un quadro della realtà, aderente al vero e scevro da falsificazioni. Il compito di tutti coloro che credono nel progresso e nella giustizia sociale è quello della solidarietà, verso il Venezuela e il presidente Hugo Chavez. Perché il golpe fortunatamente fallito in Ecuador contro il presidente Correa e la campagna interna e internazionale contro il candidato Ollanta in Perù, a pochi mesi dalle elezioni, sono l’evidente segnale di come e quanto l’obiettivo sia quello di colpire, abbattere e distruggere il progetto bolivariano che si diffonde per l’America Latina, e di cui il Venezuela guidato da Chavez è stato al contempo primo esempio concreto e modello per una trasformazione profonda della politica sudamericana.

Davide Rossi

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.

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