La Grecia di oggi come la Germania di ieri?

 

L'autore è studente in economia politica

Sappiamo bene in quali condizioni gravi si trovi la Grecia oggigiorno, stretta tra i diktat della troika (FMI, UE e BCE) e una crisi politica e sociale sempre più grave, come le recenti elezioni non hanno fatto altro che confermare. Che la situazione degenerasse in tal modo non dovrebbe sorprendere nessuno, per lo meno chi ha un minimo di conoscenza storica dell’economia e che sappia ragionare fuori dagli schemi imposti dalla teoria economica dominante. Già, perché la ricetta dell’austerità, per di più imposta in periodo di crisi, è destinata a fallire ancor prima di essere messa in pratica. Un esempio fra i tanti è la crisi argentina del 2001 in cui le politiche neoliberiste del FMI (che dalla storia sembra non saper trarre insegnamento alcuno) portarono al collasso economico e sociale fino al default dello Stato argentino. Se gli innumerevoli esempi accorsi nell’ultimo secolo non bastassero a convincere gli scettici ecco allora che un minimo di ragionamento teorico permetterebbe loro di comprendere quanto le politiche intraprese ad oggi un po’ in tutt’Europa siano, nel contesto attuale, assolutamente fallimentari. Uno degli errori teorici commessi da chi promuove tali politiche è quello di “pensare” a problemi d’ordine macroeconomico in termini microeconomici. L’economia di uno stato non può essere assimilata a quella di una qualsiasi famiglia: vi è qui una logica sistemica, ciò che è vero per un elemento di questo insieme non lo è necessariamente per l’insieme stesso e viceversa. Se una famiglia che ha problemi economici come si dice in gergo deve tirare la cintura, non è detto che applicando la stessa “ricetta” ad uno Stato (la logica dell’austerity) si ottenga il risultato sperato (la riduzione dei debiti). In una situazione già difficile, imporre allo Stato di ridurre la spesa pubblica, di aumentare le tasse, insomma di diminuire il deficit e di rimborsare il debito, porta l’economia in una situazione sempre più grave, che degenera poi in una pericolosa spirale verso il basso senza via d’uscita. Come si può in un periodo di crisi chiedere alla gente di pagare più imposte e ridurre loro i già minimi benefici sociali? Cosi facendo si fa crollare ulteriormente il potere d’acquisto delle famiglie, quindi i consumi e perciò i ricavi delle imprese che vedono i loro incassi crollare e l’accesso al credito ridotto a zero. Le imprese sono costrette loro malgrado a licenziare o a ridurre i salari, ciò che ridurrà ulteriormente la consumazione e cosi via in una spirale prezzi-salari verso il basso che inesorabilmente condurrà l’economia in recessione, o addirittura ad una depressione.

Non voglio soffermarmi ora sui diversi motivi che hanno portato la Grecia nella situazione in cui purtroppo si trova oggi (che sono diversi e imputabili sì ai politici, alle debolezze del settore pubblico,… ma soprattutto e principalmente all’UE e ai poteri finanziari, gli stessi che ora pretendono di scaricare colpe e peso delle proprie azioni sulle spalle dei cittadini grechi), ma piuttosto tracciare un paragone storico certamente poco rallegrante.

L’intento è quello di illustrare il parallelismo che può essere tracciato, con le dovute proporzioni, tra la situazione greca e quella che dovette affrontare la Germania nell’immediato primo dopoguerra. In altre parole, l’ipocrisia della Merkel nella gestione della crisi europea, che sembra non ricordarsi della storia (come diceva qualcuno: “chi non conosce la propria storia è destinato a ripeterla”) e non capire che alla fine a perderci sarà pure la Germania!

Questo parallelismo lo si può individuare tra le riparazioni che furono imposte ai tedeschi alla fine della prima guerra mondiale e le richieste che oggi vengono fatte alla Grecia: “C’è qualcosa delle riparazioni tedesche nelle condizioni imposte oggi ai Greci” citando J.J. Friboulet, professore ordinario di storia economica all’università di Friburgo.

La fine della Grande Guerra nel 1918 coincide con la fine delle ambizioni espansionistiche tedesche sull’Europa: grande sconfitta, la Germania è considerata da tutti l’artefice della guerra e le grandi potenze europee esigono immediatamente da essa una riparazione per i danni subiti. L’armistizio prevede infatti già un accordo in questo senso: la Germania s’impegna a riparare i danni civili ma non quelli militari perché, giustamente, non si riteneva sola responsabile della guerra.

Alle potenze vincitrici ciò non bastava e con i trattati di Versailles impongono alla Germania un diktat che John Maynard Keynes (Le conseguenze economiche della pace, 1919) condanna immediatamente.

L’ammontare delle riparazioni imposte alla Germania era infatti esorbitante: 132 miliardi di marchi oro, ovvero 3 anni di Prodotto Nazionale d’avanguerra (il 300% del PIL, quando oggi il Trattato di Maastricht considera come “pericoloso” per l’equilibrio economico e sociale di un paese un debito pubblico maggiore al 60% del PIL).

Keynes la considera una posizione inammissibile che va combattuta ad ogni costo, al punto che le sue considerazioni estremamente critiche portano alla rottura dei rapporti tra lui e lo stato inglese (sua madre patria, che tornerà nuovamente a cercarlo solo negli anni ’40, nominandolo direttore della Banca d’Inghilterra).

I motivi di questa opposizione assoluta di Keynes alle riparazioni imposte alla Germania possono essere riassunti in 4 punti.

 

Errore politico

Il trattato di Versailles impone ai tedeschi per diktat queste riparazioni allorché nell’armistizio che avevano firmato accettavano di pagare sì i danni civili ma non quelli militari.

Si impone quindi a uno Stato un trattato contrario a ciò che era stato firmato in precedenza, non mantenendo la parola data. Ritornare sulla propria parola, messa nera su bianco, è politicamente e moralmente incorretto.

Oggi la costruzione europea è in declino, e lo è per gli innumerevoli errori politici commessi dalla sua governance. Tra i più gravi sicuramente quello di sottovalutare lo stato dell’economia della Grecia (ma non solo) al momento della sua entrata nella moneta unica. Vennero ignorati di fatto i criteri di convergenza imposti dal Trattato di Maastricht, per esempio la Grecia (ma pure l’Italia e il Belgio) entrarono con un rapporto Debito/PIL di molto superiore al 60% (la percentuale massima concessa).

 

Errore morale

Il secondo errore è invece di tipo morale: il trattato prevede delle riparazioni durante 50 anni, ovvero su due generazioni, ciò che è assurdo. Alla Germania è stato tolto tutto, la sola garanzia rimasta sono i salari futuri dei tedeschi. Si vuol così indebitare non solo la generazione responsabile della guerra ma pure la generazione seguente, ciò comporta un grave errore morale. Nessuno ha il diritto di scaricare sulle spalle dei giovani le responsabilità di scelte e atti commessi dai loro genitori.

Un problema questo che ritroviamo oggi in diversi stati europei tra i più colpiti dalle misure volte alla riduzione del debito, Grecia e Spagna in primis. Il recente aggiornamento sulla situazione della disoccupazione in Spagna parla infatti di un tasso di senza lavoro vicino al 25%, percentuale che s’eleva fino al 50% tra i giovani! Proprio i giovani, il capitale umano del futuro, risultano i più colpiti dalla crisi economica e dalle politiche d’austerità. Si vedono così privati del proprio futuro, sempre più precarizzati e costretti a vivere senza più certezza alcuna. Comprensibilmente il malessere sociale esplode, e giustamente le contestazioni popolari aumentano. Stiamo assistendo al ritorno delle lotte di classe!

Non si deve e non si può costringere i giovani a pagare per colpe altrui!

 

Errore economico

Il più grave sbaglio di carattere propriamente economico commesso nell’ambito del trattato di Versailles è l’assoluta mancanza di un piano di ricostruzione materiale ed economico dell’Europa; lo stesso errore commesso oggi dall’establishment europeo.

Dal momento in cui si decide un piano di riparazioni tale non si può negligere la necessità di un piano per la crescita economica dell’Europa! Invece si chiudono gli occhi in faccia alla realtà, come se nessun problema fosse presente, con la convinzione che l’Europa possa risollevarsi da solo.

Tutte le misure che vengono intraprese, nel primo dopoguerra come oggi, sono misure anti-crescita!

La fase “crescita” del governo Monti in Italia è infatti una chimera! Solo uno spettro che aleggia tra lo sfracello sociale che questi tecnocrati stanno causando.

Errore questo che al contrario non fu commesso alla fine della seconda guerra mondiale quando grazie al piano Marshall e alle politiche di stampo statale volte al rilancio economico si permise la ricostruzione dell’apparato produttivo europeo e fu così l’inizio di un periodo di forte crescita dell’economia e dello Stato sociale.

 

Errore contabile

Infine il quarto errore commesso dalle potenze vincitrici è d’ordine contabile: sovrastimano il giusto costo delle riparazioni e sottovalutano invece l’oggettiva capacità dell’economia tedesca di pagare un montante che è stratosferico: 132 miliardi di marchi oro.

Keynes fu il primo a capire che l’unico modo per un Paese di rimborsare il proprio debito estero è quello di incassare divise; Perciò attraverso le esportazioni nette!

Facendo l’ipotesi favorevole che la Germania possa mantenere le proprie esportazioni a un livello pari a quello degli anni che precedono la guerra (2 miliardi di marchi oro), Keynes calcola (capitalizzando in perpetuità questi 2 miliardi ad un tasso del 5%) che la reale e oggettiva capacità di rimborso della Germania è di 40 miliardi di marchi oro. Qualsiasi somma maggiore è perciò irragionevole e va oltre i limiti oggettivi di pagamento dei tedeschi.

La storia darà ragione a Keynes, perché la Germania non sarà mai in grado di rimborsare completamente le potenze vincitrici e nel 1931 al momento della moratoria Hoover il montante finale versato sarà di 21 miliardi, cifra estremamente inferiore alle iniziali pretese degli Alleati.

Ricordo che Keynes predisse pure l’avvento del nazismo in Europa come conseguenza delle riparazioni e delle umiliazioni inferte alla Germania che inesorabilmente avrebbero alimentato uno spirito di rivincita nel popolo tedesco.

In quest’ottica l’apparizione di un partito neonazista alle recenti votazioni in Grecia dev’esser un importante campanello d’allarme per tutt’Europa!

Sono diverse le considerazioni che possono venir fatte su quest’ultima parte. In primo luogo è importante capire che la questione del rimborso del debito da parte dello Stato è sostanzialmente diversa dal rimborso di un debito individuale.

Se per un privato è assolutamente normale e logico usare la propria moneta nazionale per saldare dei debiti a un creditore, non lo è invece per uno Stato; che, al contrario di un privato, non può usare la propria moneta per rimborsare il proprio debito estero.

La moneta di uno Stato è infatti un riconoscimento di debito dello Stato stesso, è una promessa liberatoria (in inglese “I Owe You”, letteralmente “Io Ti Devo”) da parte dell’emittente. Un Paese non può rimborsare con il proprio debito!

Ne deriva dunque che il solo modo equilibrato per rimborsare il debito è, come detto, con delle esportazioni nette.

In secondo luogo, risulta evidente che nel momento in cui si esige il rimborso del debito da parte di uno Stato bisogna necessariamente accettare le esportazioni di questo Stato.

Nell’attuale contesto europeo la Germania, che impone diktat a destra e a sinistra, è pronta ad aumentare le importazioni di prodotti greci?

Se la risposta a questa domanda fosse positiva, cosa che implicherebbe un cambiamento radicale nella visione tedesca del futuro dell’Europa, e che a questa acquisita consapevolezza si aggiunga quella della necessità degli Eurobond, di una maggior redistribuzione della ricchezza tra Stati e tra individui, di un Europa sociale che pensi più ai cittadini e sia meno servo del capitale finanziario,… allora l’Europa Comunitaria potrebbe avere un futuro, con o senza Euro. Se invece la Germania non cederà e rimarrà ancorata sulle proprie posizioni il ricorso della storia consacrerà definitivamente la vittima di ieri come il carnefice di oggi.

La Grecia uscirà dall’Euro, creerà un “precedente” che potrebbe venir seguito da altre nazioni, la credibilità dell’Unione Europea verrebbe meno e la Germania allora non potrà che piangersi addosso per non esser stata in grado di evitare, citando Krugman, un «Eurodämmerung».

 

Joas Perozzi (http://justiciaeconomicaglobal.blogspot.com/)

 

Fonti:

  • Appunti corso “Histoire de la pensée économique”, Prof. J.J. Friboulet
  • Histoire de la pensée économique – XVIIIe-XXe siècles, J.J. Friboulet

 

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