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Le multinazionali spagnole nel mirino dei governi di sinistra dell’America latina!

Quello appena passato è un primo maggio che la Spagna non potrà sicuramente né dimenticare, né digerire facilmente e non tanto perché le sue strade si sono riempite di lavoratori e disoccupati, soprattutto giovani, che faticano giustamente ad accettare i pesanti tagli sociali fatti dal neonato governo Rajoy, ma soprattutto per lo strappo avvenuto in questi giorni con i paesi dell’America latina.

Nelle ultime due settimane sia l’Argentina di Kirchner che la Bolivia di Morales hanno cominciato il processo di nazionalizzazione di rispettivamente due aziende spagnole presenti nei loro territori nazionali e legate alla produzione e alla distribuzione energetica dei due paesi latinoamericani.

YPF torna nella mani del popolo!

In Argentina, in seguito ad avvertimenti avvenuti negli ultimi mesi da parte della presidente Cristina Kirchner, sul fatto che Repsol, azienda petrolifera spagnola, non rispetasse le condizioni imposte dal governo e dopo i rumori che vedevano lo Stato argentino come possibile futuro azionista di YPF (azienda petrolifera nazionale acquistata da Repsol nel 1994 durante il periodo delle grandi privatizzazioni portate avanti dal governo Menem), la Kirchner è riuscita a spingersi oltre, nazionalizzando in breve tempo YPF e ridandogli di fatto uno stampo nazionale utile per rispettare un articolo costituzionale dove si stabilisce che il paese ha il diritto all’autosufficenza energetica.

Per l’azienda spagnola Petrobras non significa solo perdere il 30% della loro produzione globale e il 50% delle loro entrate globali ma soprattutto significa veder sparire la possibilità di accapparrarsi i 940 milioni di barili scoperti in territorio argentino soltanto sei mesi fa.

In Bolivia la nazionalizzazione riguarda anche la sovranità nazionale sulla gestione dell’energia elettrica, ma in questo caso ad essere stata nazionalizzata è stata la “Transportadora de Electricidad” che si occupa della distribuzione elettrica in gran parte del territorio boliviano e che era in mano al gruppo aziendale spagnolo “Red Elécritca Española”.

È da notare, inoltre, come in entrambi i casi si tratti di aziende costruite con i finanziamenti dello Stato ed in seguito svendute ai privati a prezzi stracciati da parte dei governi neoliberali degli ani ’90.

La sinistra argentina con Cristina

La Spagna, dal canto suo, come sostengono anche gli economisti neoliberali europei, non può permettersi di mettere in atto alcuna sanzione in quanto i paesi lationamericani sopracitati sono ancora importanti compratori, e quindi sostenitori, del mercato spagnolo ed europeo e queste perdite economiche avvenute attraverso le nazionalizzazioni di aziende imperialiste spagnole rappresentano purtroppo solo una piccola fetta dello sfruttamento totale che ancora avviene ai danni del popolo latinoamericano.

Questi gesti, accompagnati da tanti altri portati avanti negli ultimi anni da governi sempre meno allineati all’Occidente, come Venezuela, Ecuador, Honduras, ecc. rimangono comunque un’importante dimostrazione di come gli equilibri mondiali stiano cambiando.

Attualmente, se da una parte si ha un Occidente che inizia a mostrare le sue debolezze e quindi anche a sfoderare il suo lato più violento, come il trsite passato c’insegna, dall’altra parte però c’è una Cina che sta diventando il principale partner economico dei paesi emergenti.

La differenza, infatti, fra la Cina e le potenze Occidentali a livello di relazioni estere, risiede nel fatto che il colosso orientale non impone condizioni né forme di governo ai suoi partner commerciali, trattandoli da pari e non con arrogante superiorità e pagando il vero valore delle merci che importa permettendo quindi ai paesi in via di sviluppo di avere più fondi a disposizione e di essere più autodeterminati nelle scelte che li riguardano.

 

Gianfranco Cavalli, membro del Partito Comunista ticinese

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