La Posta: tra Asimov e Fantozzi, passando per i socialisti

 

L'autore: Janosch Schnider

È ormai evidente come La Posta stia profilandosi da tempo come laboratorio dell’aziendalismo più ottuso e sfrenato: la sistematica chiusura degli uffici postali, la diffusione capillare dei contratti a tempo parziale e la discesa in concorrenza con i mercati esteri sono soltanto alcune delle manovre che hanno portato questa azienda di proprietà della Confederazione a convertirsi definitivamente in un soggetto agente in un contesto di libero mercato. L’ultima notizia giunge direttamente dal giornale distribuito alle “collaboratrici” e ai “collaboratori” di questo storico servizio pubblico – ammesso che sia ancora lecito definirlo tale. Si parla di una di quelle tipiche pubblicazioni tutte «baci e abbracci», «felici e contenti», in cui l’azienda tesse le lodi di se stessa, dei progressi ottenuti e chiede implicitamente ai dipendenti di ringraziare umilmente per lo stipendio gentilmente concesso.

Io, Robot

«A lei, un robot è solo un robot. Ma lei non ha lavorato con loro. Lei non li conosce. Loro sono degli addetti alle pulizie, i migliori che abbiamo». Tratta dal romanzo “Io, Robot” del genio della fantascienza Isaac Asimov, questa citazione sembra godere del consenso dei dirigenti de La Posta, che come si anticipava nel primo paragrafo, sono riusciti ad inventarne una nuova: si chiama molto avveniristicamente «progetto Distrinova» e consiste nell’ «ottimizzare il recapito postale nelle tre regioni della Svizzera centrale, occidentale e orientale». Una veloce traduzione dall’aziendalese all’italiano ci permette di capire che in sostanza si tratta dell’ennesimo provvedimento atto ad incrementare gli utili dell’azienda (che nel 2011 hanno toccato i 904 milioni di franchi), unico vero dogma de La Posta, ma naturalmente non viene specificato il fatto che qualcuno dovrà fare le spese di ciò. Che significa concretamente? A spiegarcelo, e stavolta senza troppi giri di parole, ci pensa il suddetto giornale delle “collaboratrici” e dei “collaboratori” de La Posta (che, in contemplazione dell’innesto della linguistica alle logiche aziendali, sono «collaboratori e collaboratrici», certo, mica dipendenti che vendono la loro forza lavoro in cambio di un salario): nei prossimi due anni la spartizione (delle lettere e di quant’altro circola attraverso La Posta) non verrà più effettuata manualmente da tutta una serie di dipendenti, bensì da efficientissime spartitrici automatiche che si occuperanno di fluidificare e di modernizzare l’operato dell’azienda a noi tanto cara. Ne verranno acquistate ben 15, e naturalmente al modico prezzo di soli 28 milioni di franchi, ma si sa che per essere belli bisogna soffrire: «Così anche in futuro potremo fornire un servizio moderno a un prezzo conveniente», afferma raggiante il simpatico Ulrico Hurni, responsabile PostMail.

«Soluzioni socialmente sostenibili»

Naturalmente noi ingrati e infedeli stavamo già pensando al peggio, ma ovviamente da un azienda cresciuta sotto l’ala protettrice dei sempre combattivi e risoluti compagni socialisti non ci si poteva che attendere delle «soluzioni socialmente sostenibili». Le parole sono sempre quelle di un convintissimo Ulrico Hurni, che elenca i vari provvedimenti presi da La Posta per sistemare tutti coloro che non riusciranno a reggere il ritmo della ormai mitica spartitrice automatica (che difficilmente lascerà scampo a chi vorrà ancora conquistare l’ambito bonus destinato al miglior collaboratore dell’anno): tale macchinario ridurrà il dispendio di lavoro di ben 270 unità di personale; mentre nella spartizione «l’organico verrà ampliato di 80 impieghi a tempo pieno, nel recapito dovranno essere soppresse 350 unità di personale», ma senza procedere ad alcun licenziamento. Il fatto che tale manovra verrà attuata sull’arco di diversi anni farà infatti sì, secondo Hurni, che la riduzione dei posti di lavoro avverrà attraverso delle partenze regolari, quali ad esempio i pensionamenti anticipati e altre soluzioni concordate, ahinoi, coi sindacati. Urge ancora una rapida traduzione dall’aziendalese per capire che ciò significa sostanzialmente tagli ai posti di lavoro e ulteriore precarizzazione delle condizioni d’impiego. Ma in un un impeto di sincerità il responsabile PostMail non risparmia però qualche lacrima di coccodrillo, sottolineando che nel recapito saranno disponbili più impieghi a tempo parziale.

«Compagni avanti il gran partito…»

Una strategia, quella de La Posta, perfettamente aderente all’ubriacatura neoliberista che ha imperversato in tutto l’Occidente dopo il collasso del blocco orientale, che fungeva da vero e proprio contrappeso storico alla decostruzione sistematica delle conquiste sociali. È però particolarmente interessante constatare la provenienza politica dei maggiori fautori del sacrificio delle PTT, ovvero la grande azienda pubblica che univa quelle che sono oggi La Posta e Swisscom: gli uomini chiave nel processo di liberalizzazione delle PTT – siamo a metà anni ’90 – furono il Consigliere Federale Moritz Leuenberger (PS), ministro delle comunicazioni, l’ex-segretario del Gruppo parlamentare PS, Jean-Noël Rey, direttore delle PTT (lodato a più riprese dai partiti borghesi perché capace di tenere a bada i sindacati); in seguito fu ancora un socialista, Ulrich Gygi, a promuovere eccellentemente le politiche della destra all’interno di quella che ormai già si chiamava La Posta, fresca di scorporamento dalle PTT – un signore già membro del comitato consultivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), organizzazione notoriamente socialisteggiante… A tutto ciò si aggiunsero gli imbarazzanti appelli dell’Unione Sindacale Svizzera (USS), egemonizzata dal Partito Socialista, che già avanzava sul corpo morente del servizio pubblico al grido «Si alla riforma delle PTT! Contestare? No! Cogestire».Un ruolo nefasto, insomma, quello di una socialdemocrazia sempre più organica al capitalismo elvetico e al contempo sempre più distante dalle istanze popolari e dalle rivendicazioni dei salariati: perché quando la “Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica” di fantozziana memoria diventa realtà, prendendo corpo all’interno di quello che ancora chiamiamo in maniera nostalgica «servizio pubblico», e per di più con la complicità del gran partito della sinistra «ufficiale», c’è poco da ridere.

L’altra sinistra: i comunisti di tutta Europa dicono basta!

Ma se la socialdemocrazia in Svizzera come in Europa appare allo sbando, il Partito del Lavoro del Belgio (PTB) e i Partiti Comunisti francese (PCF), tedesco (DKP) e del Lussemburgo (PCL) hanno lanciato una campagna congiunta, sostenuta in Ticino dal locale Partito Comunista (PC), che consiste nell’opposizione totale ai processi di liberalizzazione dei servizi postali, che stanno colpendo anche questi paesi. Secondo il DKP il diritto a dei servizi postali efficaci ed accessibili fa parte dei diritti fondamentali delle persone, il PTB spinge per un ritorno ad una Posta al 100% pubblica, mentre il PCL non vuole che la Posta diventi una mera macchina di profitti, a svantaggio della popolazione e dello Stato, e desidera il ritorno a dei contratti a tempo pieno, alla sicurezza del posto di lavoro, al diritto ad una pensione consona e a dei salari che permettano ai lavoratori di condurre un’esistenza dignitosa. I partiti comunisti, insomma, vogliono bloccare questi processi di liberalizzazione, mettendo fine anche alle speculazioni sugli uffici postali, in maniera che essi siano distribuiti in maniera doverosa su tutto il territorio, a beneficio della popolazione, per un servizio pubblico degno di questo nome.

Janosch Schnider, membro del Comitato Cantonale del Partito Comunista

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