Manifestazioni del fronte sandinista
/

Il Nicaragua torna a guardare al socialismo. Ricordando anche un giovane svizzero

Con oltre il 62% del voto popolare Daniel Ortega, uno dei comandanti guerriglieri che liberarono Managua nel 1979, è stato recentemente rieletto per la terza volta alla presidenza del Nicaragua. Il suo è stato un messaggio fortemente pacifista: “stiamo celebrando un nuovo 19 luglio – ha esclamato – quel 19 luglio del 1979 abbiamo dovuto ricorrere alle armi per sconfiggere la tirannia imposta dall’Impero. Ora abbiamo fatto ricorso alla verità, ai fatti”.

Mai più guerra, mai più vittime come Maurice Demierre

Ortega ha ricordato come il governo statunitense del presidente Reagan abbia dato origine negli anni ’80 a una guerra sporca contro il governo sandinista, colpevole di voler costruire democraticamente il socialismo. La guerra dei cosiddetti “Contras”, finanziati e armati da Washington, è costata la vita a migliaia di civili, fra cui anche a un giovane internazionalista svizzero di 29 anni che in quegli anni aiutava i contadini nicaraguensi nella produzione agricola. Si chiamava Maurice Demierre, obiettore di coscienza, rifiutava di prestare servizio militare in Svizzera e partì volontario quale cooperante in Nicaragua per aiutare a costruire una società più equa che voleva abbandonare le regole ciniche del capitalismo. Nel 1986 la sua jeep saltò su una mina nei pressi del villaggio di Somotillo. In Nicaragua il giovane coopertante e pacifista svizzero viene ricordato ancora oggi. Il presidente Ortega ha dichiarato: “la guerra in Nicaragua, nel nostro paese, è stata sepolta per sempre, per non tornare mai! C’è tanto bisogno di pace in questi tempi: il mondo chiede la pace! E’ con la pace che dobbiamo affrontare le sfide poste dalla povertà, la povertà estrema, ma che sono frutto di un modello economico che continua a governare ed è ancora imposto sul nostro pianeta”.

Non c’è più spazio per il capitalismo in Nicaragua

Il mandatario latinoamericano ha poi affrontato il tema della crisi economica: “non si tratta di salvare il modello economico che così tanta povertà, tanta guerra e disastri ha provocato all’umanità, ma occorre cambiare verso un modello pieno di amore, giustizia e solidarietà. L’America Latina non ha altra scelta che seguire un modello di giustizia e solidarietà come il socialismo che si sta verificando in Nicaragua. Siamo un piccolo paese con una piccola popolazione, ma impegnati a dare dignità a tutte le famiglie del Nicaragua”. La crisi economica e le minacce di guerra impongono una lotta immediata per la pace, perché – ha continuato Ortega – “oggi più che mai il mondo esige la pace con dignità, lavoro, giustizia, socialismo, solidarietà e unità di tutta la grande famiglia della Terra. Non c’è spazio per il capitalismo sfrenato, bisogna dar vita a un nuovo spazio in cui viga il principio della complementarità, della non-condizionalità della cooperazione, del commercio equo e non delle sanzioni economiche non per motivi politici. Questo è ciò che determinerà un futuro di pace e un modello in cui le organizzazioni internazionali possono davvero diventare strumenti per la vita e il progresso dei nostri popoli, ma per fare ciò ci deve essere un cambiamento di paradigma. E’ una grande sfida che abbiamo deciso di intraprendere tramite l’ALBA”.

“L’URSS, quel paese meraviglioso”

Se già queste dichiarazioni erano una risposta importante a chi accusava Ortega di aver abbandonato la prospettiva del socialismo, il presidente nicaraguese ha rincarato la dose. In effetti ha comunicato di aver preso contatto con il neo-eletto presidente (peraltro membro di un partito nazionalista) dell’Honduras, Porfirio Lobo Sosa, e lo ha fatto in modo piuttosto bizzarro per le regole diplomatiche: “ci siamo incontrati – ha detto Ortega – e lì ho scoperto che il presidente Lobo aveva studiato in Unione Sovietica, in quel paese meraviglioso, dove alcuni andavano all’Università Patrice Lumumba e altri presso la Scuola Quadri” (del Partito Comunista dell’URSS, ndr.), quasi ricordando la sua visita a Mosca nel 1984 accolto dal segretario generale del Partito Comunista sovietico Cernenko.

Rischia attuali per la pace in Medioriente

Poi Ortega ha parlato del rischio di guerra imperialista contro l’Iran. “E’ una cospirazione – ha detto – contro tutta la regione, contro la pace nel mondo”. E proprio in questi giorni il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad sta viaggiando per l’America latina favorendo accordi con i paesi dell’ALBA: Venezuela, Nicaragua e Cuba in particolare, uniti contro il comune nemico, ovvero l’imperialismo americano. La guerra d’invasione per le materie prime e il controllo geopolitico che oggi minaccia l’Iran, pochi mesi fa ha però fatto stragi in Libia. Il presidente Ortega si è anche qui apertamente schierato, senza gli opportunismi cui siamo spesso abituati osservando la classe politica occidentale, condannando l’uccisione del deposto leader libico Muammar Gheddafi: “Andava arrestato come un prigioniero di guerra, non ucciso, perché quella era una guerra di potere guidata e alimentata dalla NATO”, negando così in pratica la visione comune secondo cui in Libia vi sia stato una rivolta popolare contro il regime di Gheddafi, di cui peraltro il Nicaragua era alleato.

Lascia un commento